Il programma di Rai 1 “Cose nostre” ha raccontato la storia di Angela Donato, la donna che ha lottato contro la ‘ndrangheta. Il docu-film racconta la storia e la vita di donne e uomini che si sono opposti alla violenza delle mafie e racconta storie di giornalisti, imprenditori, magistrati, sindaci e persone comuni che minacciati dalle mafie.
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Il programma pone uno sguardo su questa parte di Italia proprio a partire dai loro occhi. La conduttrice Emilia Brandi, accenderà un faro sul rapporto difficile tra buon giornalismo, imprenditoria, politica e mafie.
La storia di Angela Donato inizia quando l’11 luglio del 2002 muore suo figlio, Santo Panzarella. Il ragazzo all’epoca aveva 29 anni e viveva a Catanzaro. Gli inquirenti collegarono subito la scomparsa di Santo alla malavita organizzata dato che due ex compagni di Angela Donato erano boss della ‘ndrangheta.
Le indagini in un primo momento avevano che la sua scomparsa sarebbe potuta essere correlata alla gelosia di Santo per un terzo fidanzato della madre. Questa ipotesi è stata scartata quando è venuto alla luce che era proprio il figlio della Donato ad intrattenere un rapporto intimo con la moglie di un capoclan della mafia.
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Il programma “Cose Nostre” ha raccontato la battaglia di Angela e la lotta che ha intrapreso da quando la ‘ndrangheta ha ucciso brutalmente suo figlio. La donna in quegli anni diventerà anche protagonista del documentario realizzato da Beatrice Borromeo, “Lady ‘ndrangheta”, che ha rivelato le storie drammatiche delle donne che incrociano la ferocia della criminalità organizzata della Calabria.
La verità sulla morte di Santo Panzarella è venuta a galla nel 2006, quando è emersa la relazione sua relazione con la moglie del boss Rocco Anello. La famiglia Anello è ricordata per essere una potente cosca malavitosa facente parte dell’organizzazione criminale calabrese della ‘Ndrangheta.
La ‘ndrina sarebbe originaria della città di Filadelfia, un piccolo comune italiano della provincia di Vibo Valentia e la loro influenza si estenderebbe per tutta l’area centrale della Calavria, da Pizzo, Monterosso Calabro fino a Francavilla Angitola. Secondo il pentito Francesco Michienzi, le loro attività illegali si fondavano su rapine ed estorsioni.
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Dopo aver saputo la vicenda i fratelli Anello e Fruci hanno rapito e ucciso Santo a Curinga, in provincia di Catanzaro. Il ragazzo è morto a causa di una pallottola in pieno volto mentre si trovava nel bagagliaio dell’auto. Il clan avrebbe inseguito abbandonato il cadavere in un luogo nelle vicinanze e lasciato divorare degli animali selvatici. Il tribunale di Catanzaro ha assolto Vincenzino Fruci e Tommaso Anello a causa della scarsità di prove. Infatti nelle campagne fu ritrovato solo un osso del presunto Santo.
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