Rivolta del carcere di Porto Azzurro, a capo il neofascista Mario Tuti: i protagonisti erano tutti ergastolani
1987. L’Italia si sta lasciando alle spalle gli anni di piombo, le rivendicazioni ai giornali di uccisioni e ferimenti, manifestazioni studentesche e operaie. Tra i fatti di cronaca rientranti in questo vasto e doloroso filone c’è la questione delle carceri, così importante per i detenuti politici che la più grande organizzazione terroristita italiana, le Brigate rosse, si organizza con un ‘fronte’ che si occupa appositamente della questione detenuti e della loro liberazione.
Mentre tutto ciò sembrava passato, un giorno di fine estate di quell’anno, il 25 agosto, dal mondo del carcere arrivò una notizia che sconvolse il paese. A Porto Azzurro, comune dell’Isola d’Elba, sei detenuti ergastolani presero in ostaggio venticinque persone: tra questi oltre a nove agenti di custodia anche il direttore del carcere Cosimo Giordano, un medico, uno psicologo, un educatore e undici detenuti.
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Rivolta del carcere di Porto Azzurro, la fine del caos dopo otto giorni
Il terrorista neofascista Mario Tuti è il leader dell’operazione che avviene in particolare al quarto piano della struttura dov’è l’infermeria, la sala che diventa il quartier generale dei rivoltosi. I responsabili dei fatti vogliono la libertà in cambio della liberazione degli ostaggi. Corre voce che abbiano chiesto un’auto blindata per fuggire, poi si parla di elicottero e di una motovedetta.
Mentre si preparavano (e si temevano) i piani di irruzione, prevalse la linea che più della trattativa può essere definita della ragionevolezza. Se ne fece portatore il direttore Giordano, pensando di concedere i benefici che prevedeva già la legge Gozzini approvata nell’anno precedente: permessi premio, libertà condizionale, semilibertà.
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Il 30 agosto il governo fa sapere che non concederà nulla ma si impegnerà ad apprlicare correttamente le leggi in vigore. Tuti e gli altri si arrendo. Il 1 settembre consegnano le armi: l’incubo è finito.