In poco più di 40 anni, quasi 1 milione di kmq dell’Amazzonia sono stati distrutti, soprattutto le aree che abbracciano il Brasile, ma anche il Perù, la Colombia e gli altri territori circostanti. Una perdita della foresta pluviale che il The Guardian stima in 200.000 acri al giorno andati distrutti. Per intenderci, si tratta di 40 campi da calcio rasi al suolo quotidianamente.
Oggi appare come una malattia incurabile che attanaglia il nostro clima e che ci fa riflettere sul fatto che, quello che prima era considerato il polmone verde del mondo, oggi non riesce più a catturare carbonio, producendone inverosimilmente di più. L’esistenza della foresta pluviale è messa a rischio dalle misure inadeguate del governo brasiliano e da gente senza scrupoli, pronte a tutto pur di avere un tornaconto personale. Così, piano piano, il collasso dell’Amazzonia continua in modo inesorabile.
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Se il tasso di distruzione della foresta pluviale era in calo, l’arrivo alla presidenza del Brasile di Bolsonaro ha capovolto nuovamente la situazione sul versante negativo. Come spiega il Guardian, nel 2018, gli studiosi avevano lanciato già l’allarme sul fatto che l’Amazzonia, non appena avesse più del 25% della sua copertura arborea sarebbe diventato un sistema secco, tanto che oggi le piogge sono meno frequenti – un danno che rappresenta i gravi effetti del cambiamento climatico ma anche quelli derivanti dalle attività umane. L’Amazzonia è ormai al collasso, conquistata da coltivatori e imprenditori senza scrupoli, mettendo a rischio anche e soprattutto l’integrità delle tribù amazzoni, grande patrimonio sociale, come gli indigeni.
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Inchieste del Washington Post hanno da sempre sostenuto come probabilmente lo stesso Bolsonaro sia un favoreggiatore di queste pratiche e, le prove sono schiaccianti: basti pensare al taglio delle autorità di controllo in Amazzonia e le concessioni alquanto ambigue. D’altra parte Bolsonaro ha anche allentato la mossa sui requisiti per l’approvvigionamento dei territori pluviali, agevolando pratiche del tutto dannose per il polmone verde. Tutti gli sforzi per salvare un intero ecosistema, presente da 10 milioni di anni, potrebbero essere insufficienti per salvare il polmone verde e i suoi abitanti, se la tutela non passerà dai governi e da chi detiene ingenti risorse, e non parliamo di quelle economiche, perché, l’Amazzonia, avrebbe prima di tutto bisogno di cure che vanno oltre e che ridiano spazio alla natura di un posto magico, misterioso e unico al mondo. Oggi, tutelato solo dalle comunità abitanti di diritto di quelle terre e dalle ONG che difendono con grande fermezza il polmone verde.