Vittorio Feltri rischia il carcere: “Piuttosto mi sparo alla testa”

Vittorio Feltri e Pietro Senaldi saranno giudicati a Catania: il direttore di Libero chiama in causa la ministra Cartabia

L'eredità feltri
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Tre anni e quattro mesi di carcere e 5mila euro di multa, è quello che rischia il direttore di Libero Vittorio Feltri per un titolo del febbraio 2017, Patata bollente, in riferimento ai problemi del sindaco di Roma Virginia Raggi. L’ultima tappa è il prossimo 5 ottobre con l’udienza e la camera di consiglio che emetterà la sentenza. Ma sulla possibilità che la richiesta di carcerazione venga accolta, il direttore ha commentato a Radio Radio “piuttosto che andare in galera mi sparo alla testa“.

Il 10 febbraio 2017 Libero pubblicò quel titolo in prima pagina. La Raggi mosse denuncia di diffamazione contro Feltri (oggi candidato a Milano con Fratelli d’Italia) e Pietro Senaldi, all’epoca co-direttore. La competenza è del capoluogo etneo perché lì è stata stampata la prima copia del giornale con il presunto titolo diffamatorio.

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Vittorio Feltri, lo spiraglio nella sentenza della Corte Costituzionale

Il titolo di Libero con Virginia Raggi

Nell’occhiello del titolo si legge che la sindaca della capitale era finita “nell’occhio del ciclone per le sue vicende comunali e personali”. Virginia Raggi si rivolse subito ai proprio avvocati per quel titolo ritenuto “sessista” e dell’articolo “condito dai più beceri insulti volgari, sessisti rivolti alla mia persona”. Non c’era diritto di cronaca, sostenne il primo cittadino, né si trattava di critica politica,  “semplicemente parole vomitevoli”.

Feltri si giustificò dicendo che il titolo non era suo e che nell’articolo mise solo in rilievo alcune contraddizioni. Di recente la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza dove si parla di “campagna di diffamazione“: il giornalista fa appello proprio su questo punto, sul fatto che non c’è stata una campagna, una serie di articolo.

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Feltri sul proprio giornale ha scritto che “Ammesso e non concesso che tale titolo fosse offensivo non consisteva certo in una campagna diffamatoria”, facendo appello alla ministra Cartabia che la Corte Costituzionale l’ha presieduta “di intervenire per bloccare quanto sta avvenendo”.

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