Genny Terremoto è collaboratore di giustizia ma punta il dito contro lo Stato che abbandona i pentiti: monito alle giovani leve della camorra
Anni da affiliato con la camorra a fare danni tanto che è stato soprannominato Terremoto. Gennaro ha 46 anni, il vero cognome è Panzuto, e dal 2007 ha rotto con quella vita precedente dentro il clan Piccirillo. In quell’anno fu arrestato in Inghilterra e dopo qualche mese è passato dall’altra parte, con lo Stato, svelando i segreti del clan che faceva parte dell’alleanza di Secondigliano che conoscono, anche se in modo romanzata, i fan di Gomorra.
Gennaro ora si rivolge proprio a quei ragazzini che vogliono essere come i personaggi della famosissima serie televisiva. Lui ora vive a Napoli, con il rischio di essere ucciso per quello che ha fatto, per far ‘tradito’, ma non ha intenzione di andare via, dice che sono gli altri che devono lasciare la città.
Il 41bis l’ha fatto cambiare idea ma anche la sua compagna, per il bene dei figli (in tutto nei ha nove, avuto con tre diverse donne). Si è pentito, una scelta dolorosa perché aveva anche tentato il suicidio. Tutta la sua storia questa sera sarà raccontata nel programma di Veronica Gentili Buoni o Cattivi.
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I Contini, i Licciardi, i Mallardo, Panzuto ha fatto i nomi dei clan, degli appartenenti, di quelli che stavano con lui nel Piccirillo (retto dallo zio) e dei nemici. Ma ha anche puntato il dito contro lo Stato che dopo 14 anni gli ha dato solo 30mila euro.
In un’intervista a Il Rifomista ha detto che con questa cifra non può neanche fittare una casa e che per ovvi motivi non ha referenze. Ma la questione non è solo economica: Panzuto dice che l’Italia non crede che i pentiti possano cambiare e per tale motivo li abbandona.
Il modello da seguire sarebbe quello degli Stati Uniti. Lì al pentito viene cambiata identità, gli trovano un lavoro, ma al primo errore si torna in carcere. Insomma, gli si dà fiducia, ma in caso di rottura dei patti non c’è perdono.
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Infine un invito ai giovani che vogliono intraprendere la strada della malavita, quindi “o il carcere o la morte”. Non si rendono neanche conto, sostiene, che sono solo utilizzati dai clan, come se fossero carne da macello per le forze dell’ordine mentre i grandi continuano indisturbati con gli affari.
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