Mentre l’alto commissario dell’Onu per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, fa sapere che, tramite da “fonti attendibili” sono pervenute notizie di “esecuzioni sommarie di civili e soldati afghani” operate dai talebani in Afghanistan, l’organizzazione fondamentalista islamica lancia, durante la conferenza stampa organizzata a Kabul, l’ultimatum agli Stati Uniti per l’abbandono totale del territorio afghano. Una dichiarazione che risuona come l’ennesima beffa, in un momento dove i corridoi umanitari sembrano l’unica ancora di salvataggio per molti afghani.
Il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha dettato la scadenza per l’abbandono delle truppe Usa e delle forze NATO dal territorio afghano – una mossa che denota ancor di più e in modo netto, lo slittamento nell’equilibrio del potere in Afghanistan, adesso in pugno ai taliban, unici vincitori, dopo il ventennio e la presenza delle forze occidentali. Il portavoce dei talebani ha affermato come, nel caso in cui la deadline non venisse rispettata, le conseguenze sarebbero immediate, così come le “ripercussioni”, parole che suonano ancora una volta come una minaccia, non solo verso gli americani, ma verso la popolazione afghana avversa ai talebani. A dimostralo sono le vittime e i dispersi di questi giorni nella calca generale. Resta forte la preoccupazione per le donne e i bambini afghani, dopo le testimonianze dell’associazione Pangea, che ha raccontato come diverse donne sarebbero state picchiate dai talebani – che dettano ormai le regole, come chi, con non troppa fatica, è riuscito a scansare quel governo fragile e alla deriva, orfano di una direzione e di un sentimento Statale.
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A resistere, nel caos che trapela in Afghanistan, è il Fronte di resistenza nazionale dell’Afghanistan (Nrf), migliaia di combattenti sono pronti a difendere l’unica area del territorio afghano libero dal dominio dei taliban, che però avanzano. Il Panshir che a nord ospita migliaia di combattenti del Fronte antitalebano con a capo Massoud, figlio del “leone del Panjshir” – il generale Massoud, ucciso da Al-Qaida il 9 settembre del 2001. La paura è però quella di un bagno di sangue nel Nord del Paese, nel caso di attacco da parte dei talebani. Il capo della resistenza ha però aperto ad un governo inclusivo, annunciando di non trattare la resa – ma di essere “disponibile a perdonare il sangue” del padre, a favore della “pace, della sicurezza e stabilità nel paese” .
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Intanto, mentre molti leader conservatori e nazionalisti chiudono ai corridoi umanitari, Biden, secondo la CNN – sotto il suggerimento dei consiglieri più stretti, sembra rinunciare alla posticipazione del ritiro delle truppe entro il 31 agosto, uno scenario che getterebbe però, ancor di più, le ombre sulla decisione dei Stati Uniti e che vede l’Europa contraria nella sua maggioranza. Il fatto che leader come il premier sloveno Janez Jansa, neghino la soluzione dei corridoi umanitari, denota anche la forte polarizzazione all’interno della stessa Ue, che adesso deve fare i conti con la non facile gestione dei rifugiati all’interno degli Stati membri a causa delle resistenze di alcuni Paesi del Gruppo di Visegrád. E poi, quel muro anti-migranti di 40 km eretto dalla Grecia al confine con la Turchia che fa riflettere sulla necessità di aprire subito un dialogo da parte di tutti i Paesi del blocco europeo, per non rischiare di cadere per l’ennesima volta nelle criticità sulla gestione delle migrazioni.
Adesso c’è da chiedersi se l’intero blocco occidentale, dopo aver fallito un tentativo durato vent’anni, di dare un futuro diverso all’Afghanistan, può almeno in parte ritornare ad essere un faro per migliaia di rifugiati che chiedono aiuto, facendo i conti, ancora una volta, con le proprie responsabilità. E per coloro che non saliranno su un volo diretto a migliaia di chilometri di distanza, cosa riserverà il futuro?