Con il Settebello si indentificano gli azzurri ma l’origine riguarda la squadra di Napoli: un giornalista diffuse il nome
Nello sport alcuni soprannomi sono dovuto all’origine territoriale dell’atleta o della squadra, da una caratteristica, da un modo di muoversi, ma a volte anche da un singolo episodio, magari un nome dato da un giornalista, che viene ripreso nei decessi successivi.
Chi non ha mai sentito Jesse Owens o Carl Lewis soprannominati entrambi, a circa cinquant’anni di distanza, il figlio del vento per la loro velocità. Ma c’è anche il caso della Nocerina, la squadra di calcio di Nocera Inferiore che ha calcato i campi della Serie B e che oggi è tra i dilettanti. I calciatori sono soprannominati i molossi, come la razza canina dei mastini, e questo soprannome è a ‘causa’ di un giornalista.
Nella stagione 1927-1928 i rossoneri della provincia di Salerno giocarono contro il più blasonato Napoli. Per gli azzurri doveva essere un allenamento ma si trovarono davanti degli avversari che lottarono come molossi, scrisse un giornalista, vincendo per 1-0, e da allora quello è stato il loro nome e poi logo societario.
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Tra le squadre che hanno un soprannome che fa domandare il perché sull’origine c’è quello del Settebello, la nazionale italiana di pallanuoto. Anche in questo caso il nome viene da un giornalista ma sono stati gli stessi atleti a suggerirlo.
Il giornalista non è uno qualsiasi ma Nicolò Carosio, che ha raccontato le imprese della nazionale di calcio via radio dal 1933 al 1970 e fu tra i primi di Tutto il calcio minuto per minuto.
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Il nome Settebello è stato utilizzato per la prima volta in occasione delle Olimpiadi di Londra del 1948. Così veniva chiamata la squadra della Rati Nantes di Napoli – buona parte componenti della nazionale – perché i giocatori, nei viaggi delle trasferte, passavano il tempo a giocare a scopa. Furono i giocatori della squadra partenopea Gildo Arena, Pasquale Buonocore ed Emilio Bulgarelli che durante un’intervista rilasciata a Carosio gli dissero che loro erano quelli del Settebello: “Ci chiami così”. E così è ancora oggi.
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