38 anni fa la mafia siciliana uccideva con una strage il giudice Rocco Chinnici. Fautore del “pool antimafia” di Palermo, Chinnici aveva catapultato il metodo di indagine, afferrando subito la metamorfosi di Cosa nostra siciliana e le infiltrazioni all’interno dell’economia legale.
Alle 8 di mattina di 38 anni fa, la vita del giudice Rocco Chinnici veniva investista dall’esplosione di una Fiat 126 parcheggiata sotto la propria abitazione. Era il 29 luglio del 1983 e la strage aveva portato via con sé altre tre vite: quella di Stefano Li Sacchi, portiere del palazzo di Via Pipitone a Palermo e quelle del maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi e dell’appuntato Salvatore Bartolotta. Il responsabile di quel delitto fu il boss Antonino Madonia, detto Nino – in seguito alla riapertura delle indagini nel 1996 grazie alle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, furono accertare anche le responsabilità di Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Salvatore Buscemi Stefano, Ganci, Raffaele Ganci, Antonino Geraci e Giuseppe Calò.
Nella lotta alla mafia Rocco Chinnici fu uno straordinario protagonista, non solo perché i suoi metodi avevano rivoluzionato il modo di combattere l’organizzazione criminale, ma anche perché aveva fin da subito compreso la direzione che il crimine organizzato stava prendendo – con quella che oggi è la canalizzazione primaria delle mafie: l’immissione di denaro illecito nell’economia legale. Chinnici parlava di una mafia imprenditrice che aveva messo le radici negli appalti e nell’accumulo di una ricchezza che lo smercio di eroina e il ponte tra la Sicilia e le famiglie di Cosa nostra newyorkese stava portando nelle casse della mafia siciliana. Il lavoro di Chinnici si indirizzò così nello scovare prima di tutto le imprese dove Cosa nostra siciliana riciclava il provento dello spaccio e delle attività estorsive e criminose, seguendo le tracce dello stesso denaro.
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Nel 1979 Rocco Chinnici divenne capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo e fu proprio l’anno seguente che il giudice formò una squadra di magistrati impegnati nel contrasto alla mafia, il cosiddetto pool antimafia. L’intento di creare un pool trovò subito un seguito, quando due magistrati, il primo Giovanni Falcone, chiamato dallo stesso Chinnici, per le sue qualità nelle indagini tributarie e Paolo Borsellino (già all’ufficio istruzione). I due iniziarono a dare una forte impronta nella lotta alla mafia in piane simbiosi con Chinnici. Un pool costruito sulle competenze e sulla cooperazione ma con una totale indipendenza nelle modalità di lavoro – realizzando una delle attività investigative che darà seguito ad una stagione di successi nella lotta alla criminalità organizzata. In questo Giovanni Falcone diede via al rivoluzionario metodo dei controlli nelle banche, fino ad allora esenti da ogni tipo di sorveglianza e cassaforte sicura per i proventi illeciti di cosa nostra. Il pool iniziò così ad acquisire i primi successi anche in concomitanza con l’introduzione nel codice penale dell’art.416 bis – la legge Rognoni-La Torre che introduceva il reato di associazione di tipo mafioso, andando a sostituire il vecchio art. 416 c.p. Pio La Torre fu poco dopo assassinato insieme al suo autista nel 1982. Inoltre Pio La Torre fu da sempre un promotore della confisca dei beni di provenienza illecita, misura che trovava un riscontro positivo anche all’interno dell’ufficio istruzione guidato da Chinnici e che darà nei decenni successivi importanti frutti .
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Chinnici lasciò una grande eredità, non solo per il metodo utilizzato durante le indagini e per i successi del pool – ma segnò una delle pagine più importanti nel contrasto alle mafie attraverso l’educazione nelle scuole. Il suo impegno con i ragazzi fu uno spartiacque che ancora oggi diversi insegnanti portano avanti in Sicilia e nel resto d’Italia insieme a magistrati, giornalisti e associazioni impegnate nella lotta alla mafia.
“Il pericolo maggiore sta oggi nella rassegnazione – diceva Rocco Chinnici parlando ai giovani – nella tendenza a considerare la mafia quasi come un male inevitabile della nostra epoca. Bisogna reagire”. Parole che ricalcano la grande capacità del giudice di spiegare ai giovani il fenomeno mafioso, spingendo le giovani generazioni a sperare e lottare per quel progetto di una terra libera dall’imposizione mafiosa. Un male che il giudice aveva visto da vicino fin dall’omicidio del giudice Cesare Terranova, suo predecessore all’ufficio istruzione di Palermo.
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