Chiara Riccomagno morì nel 2015 dopo che il furgone su cui viaggiava si ribaltò sull’autostrada Torino-Savona: il giudice ha stabilito che l’uomo alla guida del mezzo non è l’unico responsabile.
Quando Chiara Riccomagno è morta aveva soltanto 22 anni. Era stata vittima di un incidente sull’autostrada Torino-Savona all’altezza di Cervere, in provincia di Cuneo, la notte del 6 giugno 2015. Era a bordo di un furgone, sul lato passeggero, insieme ad altri suoi quattro colleghi. Lavorava come scaffalista per una cooperativa in un supermercato di Centallo, nel cuneese.
L’uomo alla guida aveva improvvisamente perso il controllo del mezzo, che era andato a finire fuori strada mentre viaggiava in direzione del capoluogo piemontese e si era ribaltato provocando la morte di Chiara Riccomagno. La giovane non aveva indossato la cintura di sicurezza ed era stata sbalzata fuori dall’abitacolo. Adesso, dopo sei anni, arriva una svolta perché tra le cause dell’incidente stradale c’è anche quella del turno di lavoro massacrante da cui usciva il conducente del furgone.
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Le condanne per la morte di Chiara Riccomagno
La giudice del tribunale di Asti, che ha trattato il caso come infortunio sul lavoro, ha pronunciato la sentenza martedì 27 luglio: la responsabilità non può essere a carico esclusivamente dell’uomo che guidava il furgone, ma deve essere condivisa con i datori di lavoro della cooperativa. Il conducente, che aveva già patteggiato una pena di quattro mesi e tredici giorni con la sospensione per un anno della patente, aveva infatti appena terminato un turno massacrante di 19 ore.
Interrogato, aveva raccontato di aver guidato in condizioni di stress e profonda stanchezza: per questo erano scattati gli accertamenti sulle modalità di lavoro della cooperativa. Il presidente della cooperativa è stato alla fine condannato dal giudice di Asti a un anno e otto mesi, mentre il caposquadra a un anno e quattro mesi. Il responsabile del servizio prevenzione e protezione è stato invece assolto.
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Gli imputati si erano professati innocenti, negando qualsiasi nesso tra il faticoso turno di lavoro, tra le cause dell’incidente, e la morte della giovane. Gli atti erano stati inviati anche alla procura di Torino, che aveva aperto un fascicolo per caporalato e che lo scorso giugno ha rinviato gli imputati a giudizio. Viene contestato il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro per turni massacranti, mancati riposi, straordinari non pagati e contratti difformi rispetto a quelli nazionali. Il processo dovrebbe prendere il via nel maggio del 2022.