A 20 anni dalla tragica morte di Carlo Giuliani, torna a parlare Mario Placanica, il carabiniere che lo ha ucciso. “Vivo buttato come una cosa abbandonata”
E’ stato scagionato dall’accusa di omicidio per legittima difesa (una perizia ha accertato che uno dei due proiettili esplosi fu deviato da un calcinaccio), eppure Mario Placanica, il carabiniere che ha spezzato la giovane esistenza di Carlo Giuliani, raggiunto telefonicamente dall’AGI nella sua abitazione di Catanzaro, lamenta di essere finito comunque dietro le sbarre, in una una prigione più solitaria e più scura. “Io sono morto da quel giorno come Giuliani. Sono un uomo di 40 anni che vive buttato come una cosa abbandonata. Senza amici, li cerco su Facebook ma i loro nomi non li trovo più, senza lavoro, senza sbocchi”.
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L’ex carabiniere, poi impiegato al catasto per qualche anno, è sulla sedia a rotelle dopo un incidente d’auto. “L’unica distrazione che ho è guardare mio zio che annaffia le piante alle 4 e 30 del mattino. Che devo fare? Non lavoro dal 2014. Ero in graduatoria per un posto al Ministero dell’Interno ma poi sono stato dichiarato inabile. E da inabile, a differenza che da invalido civile, non posso avere un impiego pubblico. Sono bravino col computer anche se ora pure la vista mi sta lasciando. Mi bruciano gli occhi perché sto troppo tempo davanti allo schermo”.
Per un periodo Placanica è stato in comunità, “i miei genitori mi hanno messo lì per aiutarmi a uscire dalla depressione, mi sentivo un po’ meglio”. Poi, però, vi è sprofondato di nuovo, complice il dolore per la scomparsa del padre: “E’ morto l’anno scorso, giovanissimo. Nei giorni successivi ho aspettato che si presentasse un rappresentante dello Stato, uno qualsiasi, a dirmi: “Signor Placanica, non si preoccupi, siamo con lei’. Bastava che suonasse anche un vigile del Comune. Ho sofferto tantissimo che nessuno abbia bussato”.
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Sulla morte di Carlo Giuliani e sul dolore della sua famiglia Mario Placanica ribadisce ciò che ha sempre ripetuto nel corso degli ultimi 20 anni: “Quello che è successo al G8 è stata una cosa molto brutta, eravamo due ragazzi che portavamo ideali diversi, ma due ragazzi. Io servivo lo Stato, Giuliani manifestava. Soffro pensando a Carlo, aveva 20 anni come me. Ho incontrato Giuliano (il padre di Carlo) due volte, per caso o forse perché aveva organizzato la moglie, alla stazione Termini. Ci siamo stretti la mano. Ma sento di avere il dovere di incontrare anche la mamma per chiedere scusa ma non perché sono un assassino – precisa – Io non lo sono. Ho creduto che fosse impossibile difendermi e ho sparato due colpi in aria. Non mi rendevo conto di quello che stava accadendo, avevo 20 anni”.
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