In “Nei nostri sogni”, brillante esordio di Antonella Capobianco, il sogno diventa il veicolo privilegiato di comunicazione tra il mondo dei vivi e il regno dei morti
Tutti noi sogniamo, tutte le notti, anche se, paradossalmente, ricordiamo solo quelli che muoiono all’alba, cioè quelli prossimi al risveglio. Il sonno è scandito da due fasi, Non-REM e REM, acronimo per Rapid Eye Movements, durante la quale la nostra mente è attraversata da una tempesta onirica che esteriormente si manifesta sotto forma di rapidi movimenti degli occhi. Secondo i neuroscienziati, durante la fase REM del sonno il cervello filtra quell’autentico bombardamento di input, informazioni, immagini, emozioni, ecc. cui viene sottoposto nel corso della giornata al fine di archiviare solo quei “dati” veramente importanti nella memoria a lungo termine in quanto quest’ultima non ha una capacità illimitata; insomma, per intenderci, è come quando deframmentiamo e ripuliamo il disco rigido per guadagnare spazio nella memoria satura dei nostri vari device. Questo è ciò che sostiene la scienza ma i sogni hanno sempre affascinato e incuriosito gli artisti che ne hanno fatto spesso materia delle loro opere dal momento che il linguaggio onirico, intessuto di metafore e significati traslati oltre che di altri reconditi e quindi di non facile comprensibilità, è quanto di più simile esista al loro linguaggio.
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE –> Cinema e Università “L’Orientale” di Napoli, partnership vincente
Non fa eccezione Antonella Capobianco che, da esordiente assoluta, ha appena dato alle stampe per i tipi della PAV edizioni l’interessantissimo “Nei nostri sogni” che fin dalle prime pagine proietta il lettore in un’atmosfera kafkiana da “La Metamorfosi”. La protagonista, Emma, prossima alle nozze d’argento, madre di due figli che adora, Andrea e Claudio, assistente alla poltrona di dentista part-time solo per riempire le giornate svuotatesi per via dei figli che, ormai grandi, hanno sempre meno bisogno delle sue attenzioni e cure, ha costruito una bella famiglia, come ce ne sono tante, con il marito Manuel. Un tranquillo menage familiare sconvolto da un’inattesa perdita che perturba l’equilibrio familiare, con Emma costretta a prendere atto dell’omosessualità del primogenito e della contrastata storia d’amore tra il secondogenito con Adila, nata e cresciuta in Italia ma pakistana d’origine, sullo sfondo di un esecrabile episodio di omofobia. Temi che infiammano il dibattito politico e pubblico, veri nervi scoperti della nostra società, che, intrecciati a quello del soprannaturale, vengono trattati da Antonella Capobianco con levità e quasi con circospezione a punto tale che il lettore è introdotto in una dimensione “altra” con naturalezza, cioè senza strappi, fratture traumatiche, in maniera quasi impercettibile come se non esistesse alcun diaframma tra la realtà e la vita ultraterrena. Merito anche di una scrittura intessuta di tocchi leggeri come pennellate, non di pedanti descrizioni di particolari inutili, che appesantiscono la lettura, e che soprattutto, lungi dall’inseguire il mito della riproduzione mimetica del linguaggio parlato, non indugia nel turpiloquio, nei solecismi, nelle interiezioni, nelle imprecazioni, che lardellano il linguaggio quotidiano, senza però perdere nulla in termini di immediatezza e verosimiglianza.
Omosessualità, omofobia e xenofobia, si diceva: in proposito, a coloro che, ostaggi della loro ristrettezza mentale, si ostinano a declinare il pur legittimo sentimento patriottico in uno sciovinismo sempre più esibito e muscolare e a quelli che considerano l’omosessualità una minaccia per la morale comune e per la loro identità sessuale tanto da rifugiarsi in quella che, con un’efficace espressione, Zygmunt Bauman definisce la “parodia della parodia” (l’omosessualità come degenerazione caricaturale della mascolinità da neutralizzare, pertanto, con lo scherno, la canzonatura e purtroppo anche con la violenza) sarebbe opportuno ricordare un aneddoto raccontato da Carlo Petrini, il fondatore di “Slow Food”, nel corso di una vecchia intervista televisiva: nei suoi viaggi in giro per il mondo per partecipare a convegni, summit, iniziative Petrini non manca mai di incontrare anche i rappresentanti delle comunità indigene di coltivatori, allevatori, braccianti agricoli i quali invariabilmente gli pongono sempre la domanda su quale sia il piatto nazionale italiano; ebbene, per non fare torto a nessuna delle varie ed eccellenti cucine regionali Petrini cita sempre quel piatto che mette d’accordo tutti gli italiani, da Bolzano a Lampedusa, gli spaghetti al pomodoro; eppure, faceva notare Petrini in quell’occasione, gli spaghetti, è ormai acclarato, sono stati inventati dai cinesi e importati in Italia da Marco Polo mentre il pomodoro è originario delle Americhe le cui popolazioni autoctone lo consideravano una variante della mela, da qui il nome “pomodoro”.
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE –> “Frame-Vivere d’istanti”, diario di un anno di Covid
Dunque, quello che è il piatto nazionale italiano per eccellenza, gli spaghetti al pomodoro, uno dei pochi simboli nazionali veramente unificanti, altro non è che il meraviglioso risultato sincretico di due ingredienti provenienti dall’altro mondo, l’Estremo Oriente e le Americhe. Non solo. Quando tutte le stelle e tutti i pianeti dell’universo avranno raggiunto la stessa temperatura, non sarà più possibile utilizzare tale energia e di conseguenza si verificherà quella che gli astrofisici definiscono la “morte termica dell’universo”. Insomma, dal macrocosmo al microcosmo sociale e relazionale la vita germina laddove sussiste l’attitudine a incorporare, integrare e includere ciò che è esogeno mentre l’omologazione è foriera di morte che può essere esorcizzata e sconfitta, sembra suggerirci Antonella Capobianco, solo “nei nostri sogni” laddove l’ordine prestabilito e lo status quo sono sovvertiti e il confine tra ciò che è “normale” e ciò che è “diverso”, tra l’ortodossia e l’eterodossia, con il suo corollario di pregiudizi, è annullato del tutto. Franz Kafka sosteneva che non siamo noi a scegliere i libri che scriviamo ma sono quest’ultimi a scegliere noi: ebbene, “Nei nostri sogni” non poteva che scriverlo Antonella Capobianco in quanto, prima di mettere nero su bianco la propria storia, ridotte al silenzio la ragione e la coscienza per proiettarsi in una dimensione onirica, ha dimostrato di sapere, come osservava Arthur Rimbaud, “apprendere la propria anima, di scrutare l’invisibile e di udire l’inaudito”. Solo in tal modo Antonella Capobianco può condurre il lettore in un viaggio nell’elaborazione di un lutto offrendo nel contempo la plastica rappresentazione dell’amore di una madre, Emma, capace di superare il confine invalicabile della morte continuando, sullo stretto crinale tra sogno e realtà, a guidare e a indirizzare il percorso dei propri figli anche dopo la sua improvvisa dipartita. Dunque, fatevi un regalo, anzi regalatevi un sogno immergendovi nella lettura di “Nei nostri sogni”, brillante debutto letterario di Antonella Capobianco, perché, in fondo, come sentenziava il Bardo per antonomasia, William Shakespeare, “noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e nello spazio e nel tempo di un sogno è raccolta la nostra breve vita”.
Seduto di fronte ai giornalisti a Torino, Jannik Sinner appare rilassato, ma con quella luce…
Non molti sanno che Simona Ventura ha una sorella che è identica alla conduttrice: non…
Mentre tutti sono in attesa dell'inizio della nuova stagione di Amici, è diventato virale uno…
Dopo Temptation Island Lino Giuliano, fidanzato di Alessia, ci ripensa: ecco come stanno veramente le…
L'attesa è finita per tutti i fans: L'amica geniale 4 sta per arrivare, anticipazioni e…
E' considerata la dieta del momento ed ha già conquistato moltissimi, ma attenzione al dettaglio…