Lo scorso aprile il presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva annunciato il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan. Appena due giorni fa Biden ha ribadito con fermezza la decisione – molti vedono nella scelta del presidente USA un gettare la spugna sul progetto di state-building, altri analisti invece abbracciano la decisione, percependola non come un’arresa ma soltanto un punto di arrivo quasi “fisiologico”.
Ritirare le truppe americane dall’Afghanistan era stata una promessa fatta dallo stesso presidente degli Stati Uniti nel corso della campagna elettorale, un punto rispettato con un annuncio nell’aprile del 2021 – nella giornata di giovedì Biden ha ancora una volta confermato la decisione, spiegando anche i motivi che hanno spinto l’amministrazione a ritirare le truppe dal territorio afghano. Le operazioni di ritiro sono state già avviate e, con tutta probabilità tutto il personale militare sarà evacuato entro la fine di agosto, gli avamposti più importanti sono già stati svuotati.
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I sondaggi dimostrano come due americani tu tre sono favorevoli al ritiro delle truppe americane dal territorio afghano – in tal senso il punto in agenda, inserito da Biden aveva già dettato una spinta non indifferente durante le elezioni avvenute negli Stati Uniti nel 2020. Non sono però mancate le critiche, soprattutto dall’opposizione a fascia repubblicana, i quali accusano Biden di un’arresa che costerà una riconquista del potere da parte dei talebani. Il presidente americano ha spiegato che i motivi della scelta sono riconducibili anche nel peso che la permanenza potrebbe avere sulle generazioni future, soprattutto in termini di vite: “non manderò un’altra generazione di americani in guerra in Afghanistan” – ha detto Biden, affermando che si tratterebbe solo di una possibilità che non migliorerebbe gli equilibri dell’Afghanistan. Motivazioni che premono fondamentalmente su un assunto che richiama l’impossibilità, secondo il presidente, di ambire con concretezza allo state-building – il presidente americano ha poi spiegato che gli Stati Uniti non avevano l’ambizione di perseguire il nation building in Afghanistan, proprio perché l’intento è sempre stato quello di eliminare le principali minacce del terrorismo (vedasi l’uccisione di Osama bin Laden).
Una ritirata quasi inevitabile, così come, probabilmente, ha detto il presidente, la riconquista del potere nelle mani dei talebani – l’unificazione non è mai avvenuta, nemmeno quando altre super potenze hanno provato ad appore le basi. Diversi esperti credono che proprio su questo versante, dopo la ritirata delle forze occidentali, le potenze egemoni troveranno terreno fertile per la propria avanzata all’interno del territorio afghano – questo potrebbe infatti agevolare la Cina, Paese tra l’altro confinante con l’Afghanistan.
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Già dall’annuncio del ritiro delle truppe americane, i talebani hanno iniziato la propria marcia verso una progressiva riconquista di alcuni punti nevralgici. Nella giornata di ieri, come riporta il New York Times, un gruppo di talebani ha fatto ingresso a Kandahar, una delle città più importanti dell’Afghanistan, la seconda più grande dopo la capitale Kabul. Il rischio è quello che, il territorio ricada in mano ai talebani, vista anche la fragilità dell’esercito afghano, spesso costretto a fuggire durante le avanzate delle milizie talebane. L’avanzata dei talebani è da giorni ormai il filo conduttore del territorio afghano – gli effetti e la reale riconquista dell’Afghanistan saranno constatabili nel lungo periodo, per adesso però, le stime sembrano affermare che i talebani hanno buona parte del Paese nuovamente in mano.