Ciaccio Montalto, a 41 anni è stato la reale memoria storica a Trapani, il suo indagare a fondo sui padrini della provincia fu la strada vincente per riuscire a colpire Cosa Nostra, proprio nel loro punto debole, il denaro.
Chi riesce ad arrivare al denaro sporco e ha un intuito innato per le investigazioni, rappresenta una vera e propria minaccia per la mafia, deve essere eliminato senza se e senza ma.
Da sempre il giudice ha servito lo Stato e ha difeso la legge con tutto sé stesso, nasce a Milano il 20 Dicembre del 1941, durante i suoi anni formativi sviluppa il senso della legalità, della giustizia e della famiglia.
Suo padre era un magistrato della Cassazione, mentre suo nonno Giacomo era un notaio che ricopriva il ruolo di Sindaco ad Erice, suo fratello è deceduto a 22 anni per un incidente stradale, aveva partecipato alle lotte dei braccianti per il partito comunista.
Il giudice entrerà nella magistratura nel 1970, l’anno dopo diventerà sostituto procuratore a Trapani, ritornerà nella sua terra natia. Si occuperà di casi e inchieste scottanti sin dai primi giorni, rivestirà il ruolo di PM nel processo del “Mostro di Marsala”.
Michele Vinci verrà condannato per aver rapito e gettato in un pozzo ben 3 bambine, lasciandole morire, una delle tre era sua nipote.
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Con le sue indagini il giudice svolgeva diverse investigazioni tra cui ci sono appalti truccati, edifici speculati, droga e raffinazione dell’eroina proprio nella zona di Trapani.
Tra questi ci sono anche diversi traffici di armi e frodi mirate alle comunità meno abbienti, il Golfo di Cofano stava per diventare una raffineria di petrolio, ma il giudice riuscì a perseguire i responsabili per il reato di scarichi illegali.
Sin dal 1977 il giudice comincia ad indagare sulla mafia trapanese, sui legami con il mondo degli imprenditori e le banche. Durante quegli anni le sue accuse e i suoi pensieri erano fuori dal normale, perché le mafie secondo l’opinione pubblica avevano una struttura ben organizzata che non faceva parlare di sé coinvolgendo il pubblico.
Tra le sue inchieste e le sue indagini patrimoniali, si riusciva a ricostruire il percorso del denaro ottenuto in maniera illecite tramite le banche trapanesi. Infatti riuscì a capire che nei consigli d’amministrazione delle banche c’era una vera e propria mappa che illustrava le alleanze tra massoni e mafiosi.
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Le sue indagini tramite un dossier dei Carabinieri, erano arrivate a ricostruire le attività criminali tra cui c’erano omicidi, corruzione, spaccio di stupefacenti, traffico d’armi e la il legame stretto con i Corleone di Totò Riina.
Infatti nel 1982 il magistrato riuscì ad emettere ben 40 ordini di incarcerazione contro i padrini e gli imprenditori che avevano collegamenti mafiosi nella zona di Trapani.
La sua operazione venne distrutta qualche mese dopo, infatti tutti coloro che sono stati incarcerati vennero resi liberi per “insufficienza di prove”.
A questo punto le intimidazioni mafiose si fecero sentire, il magistrato da anni ha sempre combattuto con le minacce e diverse telefonate anonime. Sul cofano della sua macchina trovò anche una croce nera disegnata con una bomboletta spray.
Mentre nel 1976 descrive a Vincenzo Consolo le intimidazioni che doveva affrontare ogni giorno. La sua confessione diventò profetica, proprio perché aveva un accordo con lo scrittore, il quale avrebbe dovuto scrivere le sue memorie solo se gli fosse accaduto qualcosa.
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Circa 3 settimane prima del suo omicidio il magistrato si era recato a Trento per incontrare il magistrato Carlo Palermo, i due dovevano scambiarsi delle informazioni sui traffici di droga che c’erano tra Trapani e Trento.
Lo scambio continuo d’informazioni circa i giri mafiosi tra i suoi colleghi in tutta Italia si rivelava sempre più utile alla sua causa. Le sue richieste erano quelle di creare una banca dati di nomi mafiosi, dove tutti i suoi colleghi potevano aggiornarla sistematicamente, in modo tale da non agire in solitaria.
Purtroppo la sua visione era troppo incentrata sul futuro, infatti fu abbandonato in prima linea. Il magistrato riusciva a collegare i pezzi del puzzle sulla criminalità organizzata.
Il suo non era un lavoro, era una missione contro la mafia, nonostante le tante minacce girava senza scorta e senza auto blindata. Da sempre ha pensato che le guardie del corpo non avrebbero salvato vite, ma avrebbero messo in pericolo altre persone al posto suo.
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Il 25 Gennaio del 1983, durante la notte tre sicari raggiunsero il magistrato in Via Carollo a Valderice, l’uomo stava tornando a casa. Una scarica di proiettili sono esplosi da mitragliette e pistole calibro 38, all’una e 12 minuti la sua vita si fermò.
Fu una vera e propria esecuzione brutale e a sangue freddo, nessuno dei vicini chiamò la polizia dopo la sparatoria, tutti tacquero lasciandolo da solo, per poi essere ritrovato alle 6.45 da un pastore locale.
I funerali del magistrato furono celebrati nella Cattedrale di San Lorenzo con 20.000 persone, ci fu anche il Presidente della Repubblica, il quale dichiarò che il magistrato riuscì a combattere la mafia rispettando sino in fondo la Costituzione.
Il boss Salvatore Minore cadde sul tavolo dei sospettati, era ricercato per alcune inchieste svolte dal giudice, per omicidi e associazione mafiosa. Venne condannato per esser stato il mandante dell’omicidio, con la collaborazione di Ambrogio Farina e Natale Evola, furono i due uomini che spararono a sangue freddo contro Ciaccio Montalto.
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Nel 1995 Rosario Spatola, Giacoma Filippello, Vincenzo Calcera e Matteo Litrico permisero l’identificazione e la condanna dei veri responsabili dell’omicidio.
Furono Totò Riina e Mariano Agate, i due avevano deciso che il magistrato era “arrivato al capolinea”, proprio perché era riuscito a colpire i beni finanziari dei padrini con la legge Rognoni-La Torre la quale permetteva il sequestro dei beni riconducibili ai due boss mafiosi.
Il magistrato fu uno dei primi ad utilizzare questa legge prendendo alla lettera quello che sanciva, l’esecuzione fredda e barbara contro il magistrato da Cosa Nostra fu proprio un monito per i prossimi.
Ma a quanto pare c’è chi prese esempio dal magistrato, come Giovanni Falcone, il quale era uno dei migliori amici del magistrato e riponeva totale fiducia nel suo lavoro svolto durante la carriera di magistrato a Trapani.
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