Nel decennio della transizione ecologica la strada da percorrere sembra ancora lunga e contorta. La pandemia ha portato con sé diversi aspetti: se in larga misura l’impatto della forzata sospensione delle attività sembrava aver avuto effetti positivi sull’ambiente, quello del cattivo smaltimento delle mascherine e la produzione sempre ingente di plastica, hanno ostacolato la lotta contro l’inquinamento ambientale.
A pagare l’alto conto dell’inquinamento ambientale sono spesso le specie animali che popolano la Terra. Le mascherine e la plastica sono, in modo massiccio, la causa di molti intrappolamenti di animali marini nelle nostre acque. L’allarme è stato lanciato senza intermittenze, da molte associazioni per la tutela dell’ambiente e dagli stessi ambientalisti di primo piano.
Si stima che solo all’interno dell’Unione europea, il consumo di mascherine sfiora il numero di 900 milioni di mascherina utilizzate in un solo giorno, 7 miliardi nel mondo – molte di queste viene gettato e disperso nell’ambiente e, dal punto di vista del riciclo, è impossibile avviare il processo, proprio perché considerate rifiuti speciali e potenzialmente infette. Non tutte le mascherine se gettate in acqua rimangono in superficie, molte affondano e arrivano sui nostri fondali, provocando danni incredibili . Uno studio recente ha tra l’altro analizzato gli effetti della dissoluzione delle mascherine con il conseguente rilascio delle microfibre altamente inquinanti. Sono molti gli animali marini rimasti vittime delle mascherine, anche per ingerimento.
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Plastica e mascherine: allarme ambientale
Anche il WWF ha accesso un faro allarmante sulla questione mascherine come rifiuti minacciosi per l’ambiente. La pandemia da Covid-19 ha quindi, possiamo dire, contribuito, in modo ostruttivo, ad ostacolare la lotta ai cambiamenti climatici. Molte famiglie, spiega AdnKronos, che prima della fase pandemica aveva diminuito l’acquisto di prodotti imballati, a favore di quelli sfusi, sono ritornate sui passi delle vecchie abitudini. L’agenzia di stampa ha raccontato come, la propensione alla “safe attitude”, che ha spinto in molti a preferire i prodotti confezionati per la paura dello stazionamento del virus sui prodotti sfusi. Studi scientifici non hanno ancora dato una risposta assoluta sulla permanenza del Covid sulla plastica e, in questo senso, in molti hanno preferito auto-tutelarsi.
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AdnKronos spiega come il consumo della plastica sia aumentato a dismisura dall’avvento delle misure di contenimento, in particolar modo a causa dall’asporto: sono state infatti molte le attività che si sono dovute adeguare nella seguente direzione, ma molte, per il costo ridotto hanno optato per la plastica piuttosto che la carta. Si parla di una produzione di 2 miliardi di tonnellate che l’essere umano produce ogni anno e tra altri tre decenni il volume potrebbe aumenta. Seppur l’Unione europea sta cercando di ridurre la produzione di plastica, spesso riuscendoci, altre volte un po’ meno, la plastica sembra ormai aver conquistato anche gli angoli più remoti. In poche parole, la quantità di plastica è ormai tale che, oltre all’”emissione” zero, direzione intrapresa dall’Ue, bisognerebbe accelerare il percorso di smaltimento.