Dopo 25 anni lascia il carcere di Rebibbia Giovanni Brusca l’attentatore di Capaci. Era in carcere dal 1996: ha avuto diritto a numerosi sconti di pena per aver collaborato con la giustizia accusando gregari e colletti bianchi e rivelando la strategia terroristica di Cosa nostra.
Ha finito di scontare la pena e da oggi Giovanni Brusca, uno dei più sanguinari killer dell’ala corleonese di Cosa nostra, il sicario che azionò il telecomando per la strage di Capaci, è un uomo libero.
Giovanni Brusca nel pomeriggio ha lasciato il carcere di Rebibbia con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna. Sarà sottoposto a controlli e protezione ed a quattro anni di libertà vigilata, come deciso dalla Corte d’Appello di Milano.
Brusca è stato anche uno dei principali pentiti di mafia, l’uomo che ha collaborato con i magistrati incastrando boss, gregari e colletti bianchi e che ha rivelato la strategia terroristica di Cosa Nostra.
Brusca è stato scarcerato per effetto della legge del 13 febbraio del 2001 grazie alla quale per lo Stato italiano ha finito di scontare la propria pena detentiva. Avendo scelto di collaborare con la giustizia ha ottenuto gli sconti di pena previsti dalla legge. Una legge sostenuta paradossalmente anche da Giovanni Falcone, e grazie alla quale molti crimini di Cosa Nostra sono stati rivelati e senza la quale nessun mafioso probabilmente avrebbe scelto la via della collaborazione.
La storia del boss Giovanni Brusca
Giovanni Brusca oggi ha 64 anni ed è cresciuto fin da quando era piccolo in un contesto mafioso. Suo padre Bernardo era il boss di San Giuseppe Jato, un piccolo comune della provincia di Palermo.
Giovanni è stato il responsabile del rapimento e morte del tredicenne Giuseppe Di Matteo. Il reato, commesso a San Giuseppe Jato l’11 gennaio 1996, è stato fatto nel tentativo di impedire che il padre, Santino Di Matteo, collaboratore di giustizia ed ex-mafioso, collaborasse con gli investigatori. L’omicidio ebbe grande risalto sui mezzi di comunicazione italiani, anche perché il cadavere non venne mai ritrovato, in quanto venne disciolto nell’acido nitrico.
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Inoltre Giovanni Brusca azionò il telecomando per la strage di Capaci, ed è a lui che vengono attribuiti decine di omicidi di mafia, tra cui quello di Ignazio Salvo.
Brusca fu catturato ad Agrigento il 20 maggio 1996 dove si nascondeva nella villetta di un fiancheggiatore della mafia. Processato e condannato all’ergastolo proprio per l’omicidio Salvo, per ottenere un sconto sulla pena, ha scelto di collaborare con la giustizia. E così Brusca ha ottenuto che la sua pena fosse ridotta a 26 anni di carcere in cambio delle informazioni che hanno permesso di fare luce su numerosi delitti di mafia, tra i quali l’omicidio a Palermo del giudice Rocco Chinnici (29 luglio 1983), del commissario Beppe Montana (a Santa Flavia, 28 luglio 1985), del vicequestore Ninni Cassarà (Palermo, 6 agosto del 1985)