Secondo uno studio inglese attualmente in “preprint” i vaccini Pfizer e AstraZeneca risultano efficaci nel contrastare la variante indiana del Covid-19.
L’Italia ha ormai avviato la fase delle riaperture e della ripartenza. I dati epidemiologici e l’aumento delle vaccinazioni fanno ben sperare per la stagione estiva, tuttavia la paura che le varianti Covid possano prevalere sull’infezione originaria continua a persistere. La mutazione che più preoccupa gli scienziati è quella indiana, nota anche come B.1.617.
Come spiegato nel portale del Ministero della Salute, la variante scoperta in India e diffusasi rapidamente in Europa, include una serie di mutazioni la cui contemporanea presenza porta a una potenziale maggiore trasmissibilità e a un possibile rischio di reinfezione. Per questo motivo è fondamentale che i vaccini attualmente in fase di somministrazione risultino efficaci nel contrastare la pericolosa mutazione del virus.
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Gli studi sul grado di protezione dalla variante indiana da parte dei vaccini approvati dall’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, procedono spediti. Al momento i risultati delle analisi non sono ancora stati pubblicati, ma secondo uno studio preliminare condotto dalla Public Health England, due dosi dei vaccini delle case farmaceutiche Pfizer-BioNTech e AstraZeneca sarebbero efficaci.
Il siero di Moderna e Johnson&Johnson non sarebbe invece ancora stato studiato, ma non è escluso che possa anch’esso fornire una protezione adeguata. La ricerca dello studio inglese, pur non essendo ancora stata pubblicata, lascia quindi ben sperare per una copertura significativa dopo la seconda dose dei vaccini Pfizer e AstraZeneca.
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Secondo gli scienziati, a distanza di due settimane Pfizer-BioNTech presenterebbe un’efficacia dell’88% circa contro le forme sintomatiche associate alla variante indiana. Per quanto riguarda invece il vaccino di AstraZeneca le percentuali sarebbero pari al 60%. I dati delle vaccinazioni sono stati raccolti fino al 16 maggio 2021 per poi essere combinati con quelli delle infezioni e del genoma del Covid-19. Lo studio è attualmente disponibile in “preprint”.
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