Venerdì 8 novembre 1991, alle ore 13, tutte le principali radio FM d’Italia iniziarono a passare un brano che, negli anni, sarebbe diventato una pietre miliare della musica italiana, parliamo di Povera Patria di Franco Battiato. Il suo brano più esplicitamente politico. Ecco qual’è la storia del testo della canzone.
Venerdì 8 novembre 1991 esce in tutti i negozi di dischi, al tempo non esistevano gli store online, l’LP a 33 giri di Franco Battiato Come un Cammello su una grondaia.
Il disco è composto da otto brani tra i quali, oltre a quello che da il titolo all’opera, e al già anticipatissimo Le sacre sinfonie del tempo compare un brano che Battiato inserisce quasi alla fine del lavoro ma che di fatto ne diverrà la canzone guida.
Il brano si chiama Povera Patria, ha una lunghezza di 3 minuti e 45 secondi ed è quasi per intero pianoforte e voce. Ma, come detto, è un brano che entrerà nella storia della musica italiana. Il testo, nonostante la voce delicata di Battiato, è durissimo un brano politico, molto politico che di fatto sarà la colonna sonora del passaggio della Prima alla Seconda Repubblica.
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Come detto siamo nel 1991, al Governo c’è il Pentapartito DC-PSI-PRI-PLI-PSDI guidato da Giulio Andreotti lanciatissimo verso il Quirinale e la Presidenza della Repubblica. Tangentopoli non è nemmeno nella testa dei Giudici di Milano e Silvio Berlusconi è “solo” un imprenditore televisivo.
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Eppure il brano arriva nella pienezza dei tempi, anzi li anticipa. Non è difficile individuare chi sono i politici del verso “Tra i governanti Quanti perfetti e inutili buffoni”. Per non tacere del riferimento alla parola Patria, addirittura nel titolo. Una parola scomparsa per oltre cinquanta anni dall’agenda politica italiana e reintrodotta, di fatto, dal Maestro siciliano che la libera dalle accezioni più abusate e retoriche.
Particolarmente intenso è il verso “Ma non vi danno un po’ di dispiacere Quei corpi in terra senza più calore?” versi che nel corso del 1992 riecheggeranno in tutte le manifestazioni che avranno luogo in Italia dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio.
Non meno banale, infine, il riferimento alla violenza negli stadi al tempo in crescita esponenziale. “Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali? Nel fango affonda lo stivale dei maiali” recita Battiato nel testo. Anni dopo in un’intervista al Corriere della Sera renderà noto che il verso nacque nella sua testa il maledetto pomeriggio del 28 ottobre 1979. Dodici anni prima.
Quel pomeriggio di un giorno da cani la morte fece il suo ingresso, in maniera “trionfale” nel mondo del calcio italiano, e lo fece allo Stadio Olimpico di Roma portandosi via il giovane meccanico laziale Vincenzo Paparelli ucciso da razzo a media gettata sparato da Giovanni Fiorillo dalla curva dei tifosi romanisti. Franco Battiato non lo aveva mai dimenticato.
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