Il 12 febbraio 1980 due terroristi delle Brigate Rosse assassinarono in un agguato Vittorio Bachelet, professore e vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Ecco la ricostruzione dell’attentato.
“Questo di oggi è il più grave delitto che sia stato consumato in Italia perché il delitto Moro aveva un carattere politico, mentre quello di oggi è diretto contro le istituzioni”. Il presidente della Repubblica Sandro Pertini commentò così l’attentato mortale a sangue freddo ai danni di Vittorio Bachelet, organizzato e messo in atto dalle Brigate Rosse nel 1980.
Nato nel 1926 a Roma, all’epoca insegnava Diritto amministrativo e Scienza dell’amministrazione presso l’Università La Sapienza e dal 1976 era vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Per questo motivo secondo Pertini l’omicidio non era altro che un attacco diretto alle istituzioni: i terroristi volevano colpire il vertice della Magistratura poiché, come sostenuto dall’allora presidente della Repubblica, era il “vertice del pilastro fondamentale della democrazia”.
Durante la sua carriera, Bachelet, laureato in Giurisprudenza, lavorò presso il Comitato Italiano per la Ricostruzione e la Cassa per il Mezzogiorno. Dagli anni Sessanta iniziò poi a insegnare prima presso le Università di Pavia e di Trieste e successivamente presso La Sapienza di Roma. Nel 1964, dopo aver ricoperto la carica di vicepresidente dell’Azione Cattolica, ne divenne il Presidente generale. Vittorio Bachelet è stato per un periodo anche tra gli esponenti della Democrazia Cristiana.
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L’omicidio di Vittorio Bachelet: la ricostruzione dei fatti
L’attentato delle Brigate Rosse fu eseguito alle 11,35 del 12 febbraio 1980, pochi istanti dopo che Bachelet concluse una lezione nell’aula numero 11 de La Sapienza. Il professore fu ucciso nell’androne dell’università, nei pressi delle scale che conducono al secondo piano, dove in quel momento si trovavano una quindicina di studenti. Nel posto erano presenti anche due militanti delle Brigate Rosse, che lo sorvegliarono fino a quando si mise a parlare con la sua assistente, Rosy Bindi. Ad un certo punto uno dei due criminali entrò in azione.
Dopo aver raggiunto il professore, lo afferrò per una spalla facendolo voltare e gli sparò quattro volte all’addome, a poche decine di cm di distanza. Poi intervenne subito il secondo terrorista rosso, che gli sparò altri colpi di arma da fuoco, tra cui quello di grazia alla nuca. Dall’autopsia emerse che complessivamente Vittorio Bachelet fu centrato da otto pallottole sparate da una pistola calibro 32. Poco dopo l’omicidio a sangue freddo, le Brigate Rosse rivendicarono ai giornali Repubblica e Avanti! l’attentato.
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Qualche mese dopo, a maggio, i brigatisti Bruno Seghetti e Anna Laura Braghetti furono arrestati con l’accusa di essere gli esecutori materiali dell’omicidio e vennero poi condannati all’ergastolo. Entrambi i terroristi risultarono coinvolti anche nel sequestro di Aldo Moro, storico amico di Bachelet. Il nome del professore comparve nelle carte delle Brigate Rosse come possibile obiettivo dopo il rapimento e l’assassinio del leader della Democrazia Cristiana. Nonostante questo, il vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura non accettò di avere la scorta.
Ai funerali di Vittorio Bachelet colpirono particolarmente le parole del figlio Giovanni. “Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà – disse – perché senza togliere nulla alla giustizia, che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”.