Rita Di Giovacchino non ce l’ha fatta. Il Covid – 19 ha portato via anche lei, come tanti in questa infinita, terribile stagione.
Un ospedale, un letto, una storia, un’altra vita spezzata dal virus. Se n’è andata via così Rita di Giovacchino, una vita da giornalista d’inchiesta. Inchieste di quelle che fanno perdere il sonno, perché non si riesce mai ad intravedere la luce della verità in fondo a tunnel perennemente bui. Quanto ha scritto e descritto sul sequestro ed uccisione di Aldo Moro, e quanto ci hanno dato da pensare le sue parole dopo gli stragi di Capaci e di Via d’Amelio.
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Si era occupata anche della tragedia di Cogne, di Annamaria Franzoni e di tutti i segreti del caso. Ma lei era una giornalista d’inchiesta, quello era il suo pane quotidiano ed il suo campo d’azione per dare tutto il meglio di sé. Ciò che riguardava la mafia, la politica ed i loro stretti rapporti, i torbidi intrecci tra la criminalità organizzata ed i servizi segreti, più o meno deviati.
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Una lunga carriera contraddistinta dalla lunga militanza, durata venticinque anni, al quotidiano romano “Il Messaggero”. E poi l’Ansa, fino a collaborare con “Il Fatto Quotidiano” Tante bellissime pagine d’inchiesta scritte con una sigaretta tra le dita ed il pacchetto aperto sulla scrivania, con la ferrea volontà di arrivare a comprendere ciò che nessuno poteva comprendere. Istinto e talento si coniugavano perfettamente in questa grande giornalista.
Rivendicava con orgoglio di essere figlia degli anni 70 ‘, gli anni della contestazione e, soprattutto, del coraggio di contestare. Come fece lei con suo padre, generale dell’esercito. Soprattutto Rita Di Giovacchino era un’inguaribile ottimista, riusciva sempre a scorgere il cielo azzurro dove altri vedevano soltanto addensarsi nuvole nere. Ogni difficoltà può e deve essere superata.
Pensava che anche questo stramaledetto virus avrebbe finito per essere sconfitto. Lei, con la sua determinazione e quella straordinaria voglia di vivere, non gli avrebbe permesso di avere la meglio. Anche quando sembrava evidente che la malattia stava compiendo il suo sporco lavoro, era convinta che ce l’avrebbe fatta ed avrebbe ripreso ad investigare sugli italici misteri.
In un letto di un ospedale romano, Rita Di Giovacchino ci ha lasciati. Probabilmente avrà sorriso fino alla fine, non voleva proprio farsi vedere sconfitta da quello stramaledetto virus. “Era un’ottimista: tutto per lei si metteva a posto, in qualche modo”. La vogliamo ricordare attraverso le sentite parole di Antonio Padellaro, collega ed amico del “Fatto Quotidiano”:
“Un giorno mi portò una copia de “ Il libro nero della Prima Repubblica ” , un testo sui poteri soprattutto occulti e deviati che hanno ricoperto di sangue e corruzione il nostro paese. Lo conservo con cura, un livre de chevet del giornalismo vero, quello che fa le domande e non smette di cercare le risposte”.
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