Il Giornale dello Spettacolo ha intervistato Ascanio Celestini per scoprire il suo pensiero in merito ai problemi attuali del mondo del teatro. Secondo l’attore e regista le difficoltà del settore derivano dalla sua stessa organizzazione.
La mattina del 14 aprile un gruppo di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo ha occupato il Globe Theatre di Roma, chiedendo al governo una riforma strutturale dell’intero settore. A più di un anno dalla chiusura dei teatri, l’occupazione, che è durata cinque giorni, ha rappresentato il culmine delle oltre 100 manifestazioni che negli ultimi mesi hanno invaso numerose piazze e città italiane.
La protesta nel Globe Theatre è seguita da un incontro interministeriale, tenutosi giovedì 22 aprile, con il Ministero del Lavoro e della Cultura. Durante il confronto sono state evidenziate le due richieste principali: una legge di riforma del mondo del lavoro nello spettacolo e nella cultura, e l’accreditamento dell’intera contribuzione figurativa degli anni 2020 e 2021 per tutti i professionisti del settore. A maggio è in programma un nuovo tavolo per discutere del futuro testo di legge, che dovrà sancire “un cambio di passo epocale”.
“Non ne possiamo più di vivere nello sfruttamento, nel precariato, nell’assenza di prospettive – ha spiegato la rete dei Professionisti Spettacolo e Cultura – Non vogliamo una riapertura senza sicurezza, che ci faccia ripiombare in un mondo del lavoro ancora più incerto e privo di garanzie”. In merito alla vicenda è recentemente intervenuto anche il noto attore teatrale e regista Ascanio Celestini in un’intervista di Alessia de Antoniis per il Giornale dello Spettacolo.
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Secondo Celestini il vero problema del settore non risiede soltanto nella chiusura dei teatri, ma anche nella sua organizzazione. “Parliamo di teatro facendone una questione artistica e culturale, mentre è una questione che appartiene al mondo del lavoro”, ha spiegato, prendendo come esempio coloro che lavorano in nero.
“Il Governo ha dato 600 euro per tre mesi a lavoratori con almeno 7 giornate lavorative nel 2019 – ha sottolineato – Al minimo sindacale, quel lavoratore ha guadagnato 500 euro in un anno. Posso considerare professionista uno che lavora 7 giorni l’anno? Evidentemente ha lavorato molto più in nero, oppure ha fatto altri lavori e quindi non lo ristoro come attore“.
E proprio in merito ai guadagni, Ascanio Celestini si è detto favorevole alla proposta di Madia, secondo cui almeno il 50% del reddito dovrebbe provenire dal lavoro attoriale per poter essere ritenuti professionisti. “Se il 90% del mio reddito lo produco facendo il barista, mentre il 10% dal fatto che vado sul palco in calzamaglia col teschio in mano, sono un barista e non un attore”, ha spiegato.
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L’artista romano si è soffermato anche sulla differenza tra i teatri finanziati dallo Stato o dalle Regioni e quelli che non lo sono. “Un problema complesso – ha raccontato – Le compagnie piccole e medie si trovano davanti a problemi spesso insormontabili: sul piano amministrativo, contabile, per i corsi professionali. Parlo dei corsi sulla sicurezza, quelli di primo intervento, o altri che siamo obbligati a fare per legge”. Secondo Celestini i teatri stabili dovrebbero diventare un punto di riferimento per il territorio.
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