Nonostante le opposizioni, il governo giapponese ha dato l’ok per il rilascio in mare dell’acqua radioattiva impiegata per raffreddare i reattori danneggiati di Fukushima: le cisterne sono in esaurimento.
L’11 marzo 2011 il Giappone veniva tragicamente messo in ginocchio dal terremoto di magnitudo 9 e dal successivo tsunami che innescò il disastro nucleare di Fukushima. Il surriscaldamento del combustibile interno alle centrali fu seguito dalla fusione del nocciolo dei reattori, a cui si accompagnarono le esplosioni di idrogeno e le emissioni di radiazioni, compromettendo l’ambiente.
Dieci anni dopo il governo nipponico ha preso la decisione storica di dare il via libera al rilascio nell’Oceano Pacifico dell’acqua contaminata impiegata per raffreddare i reattori danneggiati dall’incidente. La manutenzione giornaliera della centrale, situata nella parte nord-orientale dell’isola di Honshu, genera 140 tonnellate di acqua che, nonostante venga trattata negli impianti di bonifica, continua a contenere un isotopo radioattivo dell’idrogeno, il trizio.
L’ok di Tokio è arrivato in vista dell’esaurimento delle cisterne, che secondo le previsioni raggiungeranno la massima capacità consentita entro l’estate del 2022. A comunicare la drastica decisione è stato il primo ministro del Giappone, Yoshihide Suga, dopo aver incontrato i membri del governo, confermando così le anticipazioni dei mesi scorsi.
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L’ok al rilascio in mare dell’acqua radioattiva di Fukushima ha fatto scoppiare le proteste degli ambientalisti, dell’industria della pesca e dei rappresentanti dell’agricoltura locale. Lo scorso anno il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Rafael Grossi, aveva dichiarato che l’eventuale decisione sarebbe stata in linea con gli standard internazionali dell’industria nucleare.
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Tuttavia il rischio è di compromettere per sempre l’ecosistema marino, generando di conseguenza un profondo impatto sia sulla sicurezza alimentare che sulla salute umana. I Paesi vicini al Giappone, tra cui la Cina e la Corea del Sud, hanno già espresso a più riprese la loro disapprovazione e richiesto agli organismi internazionali di non restare a guardare.
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