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Sandro Donati, allenatore di Alex Schwazer e le lotte contro il doping

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Giuliana Macaluso

Sandro Donati allenatore di Alex Schwazer ha 73 anni, e ha dedicato la maggior parte della sua vita a lottare contro il doping, divenendo un simbolo mondiale di questa battaglia. L’ha raccontato in due libri, Campioni senza valore e Lo sport del doping, che sono insieme saggi e spy stories.

L’elenco degli scandali da lui scoperchiati è ormai quasi sterminato. Ci ha rimesso la carriera da allenatore ed è tuttora vittima di implacabile odio da parte dei molti che ha smascherato negli anni. Dal 1977 al 1987 è stato responsabile del mezzofondo e della velocità della Nazionale italiana di atletica leggera; sono gli anni delle prime denunce, compresa quella del salto in lungo truccato in mondovisione per far vincere la medaglia di bronzo all’azzurro Giovanni Evangelisti, che ha concorso come lunghista ai Giochi olimpici di Los Angeles nel 1984.

Dal 1987 è costretto a chiudere in un cassetto la tuta, suo malgrado. Donati non è più una figura gradita all’establishment. Con tenacia non si ferma. Nuovi ruoli, stessi obiettivi: è stato dirigente responsabile della ricerca e sperimentazione del Coni, componente della Commissione di vigilanza sul doping, consulente del Ministero della Solidarietà Sociale e consulente della Wada (agenzia mondiale antidoping). Un estenuante percorso a ostacoli all’interno di un sistema disposto a tutto in nome del risultato.

Il mondo dell’atletica contro e poi l’incontro con Alex Schwazer

In un intervista Donati rivela che “non è mai piaciuto che io lavorassi con un atleta che aveva avuto problemi col doping, la mia scelta ha destabilizzato un ambiente che aveva bisogno che uno di quei pochi positivi non fosse tolto dalle loro grinfie poiché loro basano la loro credibilità e la loro severità sui pochi numeri che riescono a prendere ogni tanto, l’antidoping è controllato politicamente e tenuto basso nei livelli di efficacia”. Ma l’ex atleta non si scoraggia e 1 aprile del 2015 inizia ad allenare Alex Schwazer, il cui il procedimento penale è stato archiviato dal Tribunale di Bolzano.

La sua storia sarà raccontata da una serie tv, lo annuncia in un tweet Indigo Film. Sarà tratta dal libro di Sandro Donati:

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Come è cominciata la sua battaglia contro il doping e le istituzioni che lo favoriscono?

Sandro Donati racconta che il suo percorso inizia per caso, “negli anni ‘60, in un periodo in cui il doping non era discusso pubblicamente. Esistevano gli stimolanti, ma solo negli anni ‘70 si cominciò a parlare di anabolizzanti; si usavano nell’est Europa e iniziarono a diffondersi nell’Europa occidentale, Italia compresa.”

Donati racconta un episodio in cui leggeva il quotidiano sportivo Tuttosport e nota  un’intervista al commissario tecnico della Nazionale di atletica e all’allora responsabile sportivo delle Fiamme Gialle. Entrambi commentavano la bella prestazione di un lanciatore di martello. “E’ figlio di un farmacista, sa usare bene gli anabolizzanti. Noi auspichiamo che tutti in Italia imparino a farlo”. Donati sconvolto della leggerezza con cui si parlava di anabolizzanti, che per legge sono vietati agli sportivi nelle gare, scrisse al quotidiano. Tuttosport organizzò una tavola rotonda e pubblicò una pagina intera sull’argomento. Per Donati e per il mondo dell’anti-doping, fu il primo passo della lotta.

L’episodio che lo indusse ancora di più in questo senso fu quando divenne responsabile del mezzofondo veloce della Nazionale, era il 1981, e gli venne chiesto in maniera esplicita di sottoporre gli atleti a emotrasfusione e altri trattamenti. Si rifiutò e da lì iniziò tutto. Era sconcertato che fosse la stessa federazione a spingere gli atleti in quella direzione.

Per questo è importante non puntare il dito solo contro l’atleta che si dopa, ma allargare il discorso anche ai co responsabili. Donati racconta di come a novembre del 2015, poche settimane prima del famoso controllo a Schwazer, quello da cui poi nacque il procedimento giudiziario, ha partecipato ad un convegno internazionale in Danimarca in cui parla di contrastare il doping combattendolo alla radice. Nelle oltre 400 pagine del codice mondiale antidoping ci si rivolge solo alla fattispecie della colpa di un singolo, sia esso un atleta, un medico, un allenatore, e mai alle eventuali responsabilità di intere organizzazioni.

 

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