Chi è affetto da Long-Covid può continuare ad accusare i sintomi del virus anche dopo mesi dall’avvenuta negativizzazione: a tal riguardo la Fondazione Veronesi si è interrogata sull’ipotetico effetto benefico della vaccinazione. Per dimostrarlo occorrono però studi specifici.
Chi viene infettato in forma moderata o severa dal Covid-19 può continuare a portarsi dietro per diverso tempo, anche in termini di mesi, alcuni sintomi variabili della malattia dopo la provata negativizzazione del tampone molecolare. Tale condizione prende comunemente il nome di Long-Covid. Chi ne è affetto tuttavia ha ormai perso il grado di contagiosità del virus. Tra la sintomatologia cronica riscontrata nei pazienti vi è uno stato di persistente stanchezza, frequente mal di testa, debolezza muscolare, perdita dell’olfatto, disfunzione cognitiva, tachicardia, manifestazioni cutanee e disturbi intestinali.
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Ad oggi non sono stati ancora condotti studi dettagliati relativi alla possibile immunizzazione di chi, pur risultando negativizzato, continua a presentare nelle settimane o nei mesi seguenti alcuni sintomi del Covid-19. A tal proposito, in un articolo pubblicato sul magazine online della Fondazione Umberto Veronesi, viene sottolineato che dal punto di vista della razionalità scientifica la possibilità di un beneficio potrebbe risiedere nella vaccinazione.
Viene fatto notare infatti che le persone affette da Long-Covid potrebbero conservare frammenti del virus nei tessuti dell’organismo e che, come sostenuto da Akiko Iawasaki, docente di immunologia e biologia molecolare all’Università di Yale, il vaccino che stimola la produzione di anticorpi potrebbe accelerare la loro eliminazione, riducendo così la durata dei sintomi. Nell’articolo si prende in considerazione anche un’altra ipotesi, secondo la quale la persistenza dell’infezione potrebbe essere causata da una risposta errata del sistema immunitario, che porterebbe a legare il Long-Covid a una malattia autoimmune.
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In quell’eventualità, sempre secondo Iawasaki, il vaccino “potrebbe dare una scossa al sistema immunitario e ripristinare le condizioni di normalità presenti prima dell’infezione”. Ma un effetto simile potrebbe arrivare anche dall’utilizzo degli anticorpi monoclonali o del plasma iperimmune. Per dimostrare la teoria dei possibili benefici, la Fondazione Veronesi ricorda che servono tuttavia determinati studi che finora non sono ancora stati ancora avviati.
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