Un’inchiesta della BBC ha fatto luce su una vicenda che sta sconvolgendo l’opinione pubblica: in Amazzonia parti della foresta pluviale sono stati messi in vendita su Facebook. Intere porzioni della foresta che possono raggiungere diversi chilometri di superficie.
La BBC ha riportato sull’inchiesta che parti della foresta pluviale (il polmone verde) sono state messe in vendita su Facebook Marketplace: spesso queste porzioni raggiungono anche la superficie di mille campi da calcio, offerti senza alcun certificato di proprietà e in modo del tutto illegale. La vendita include spesso anche parti di foresta nazionale e zone abitate dagli indigeni del posto.
“Gli invasori di terra si sentono molto autorizzati al punto che non si vergognano di andare su Facebook per fare affari di terra illegali”, ha affermato Ivaneide Bandeira, leader dell’ONG ambientalista Kanindé (Associação de Defesa Etnoambiental).
L’Amazzonia in preda già a una deforestazione senza precedenti che si amplia progressivamente di mese in mese, deve fare i conti anche con la vendita illegale di parti di foresta. Facebook dal canto suo ha affermato che non bloccherà la vendita ma che collaborerà con le autorità (spesso assenti e negligenti sul controllo). “Le nostre politiche commerciali richiedono che gli acquirenti e i venditori rispettino le leggi e i regolamenti” hanno fatto sapere dall’azienda, una posizione da “Laissez-faire” quella del colosso californiano che non rassicura le organizzazioni per la tutela dell’Amazzonia e gli ambientalisti.
Diviene così troppo facile vendere senza incorrere in controlli, visto che il social ha escluso la possibilità di filtrare e controllare le vendite. Non è certo una presa di posizione netta e ancora una volta pone Mark Zuckerberg al centro delle critiche. La facilità con la quale si trovano questi terreni in vendita è quasi disarmante, basta fare una semplice ricerca per rendersi conto di quanto la situazione sia grave.
La BBC ha inviato sotto copertura un giornalista che ha raccolto le testimonianze dei trafficanti di terreni pluviali. Il primo è Fabricio Guimarães, filmato da una telecamera nascosta che racconta come non ci sia “il rischio di un’ispezione da parte di agenti statali qui”. Spesso la tecnica è quella di incendiare vaste aree o di disboscarle per poi comunicare alle autorità che ormai quei terreni servano a poco, per poi rivenderli per migliaia di euro.
Il secondo “trafficante” è Alvim Souza Alves che cerca addirittura di vendere una porzione di terreno all’interno della riserva degli indigeni Uru Eu Wau Wau. Una zona abitata anche da altre cinque (circa) tribù indigene. Il venditore ha affermato, ripreso dalle telecamere nascoste che “dovrebbero essere a 50 chilometri da dove si trova la mia terra, ma non vi assicuro che non li troverete camminare da quelle parti di tanto in tanto”.
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Ma a detta di molti testimoni il maggiore alleato della liberalizzazione dei terreni in Amazzonia è il governo brasiliano. Il ministro dell’Ambiente brasiliano, Ricardo Salles ha dichiarato che “il governo del presidente Jair Bolsonaro ha sempre esplicitato la sua linea politica di tolleranza zero per qualsiasi reato, compresi quelli ambientali”. A sfavore della tesi del governo però c’è uno studio della rivista Biological Coservation che a suon di dati sostiene che Bolsonaro abbia approvato 57 leggi hanno indebolito la tutela ambientale.
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