Molte persone guarite dal Covid-19 lamentano sintomi debilitanti anche dopo la fine dell’infezione, spesso succede che i pazienti avvertano i sintomi anche per mesi. La Fondazione Veronesi spiega di cosa si tratta e come riconoscere il Long-Covid.
La pandemia da Covid-19 ha colpito ad oggi 113milioni di persone di cui 2,5milioni non hanno superato il virus. Ma i guariti? Il numero dei guariti copre 65,5milioni di persone: molte di queste però, pur superando la fase dell’infezione soffrono ancora oggi di alcuni sintomi, o per meglio dire Long-Covid. Uno studio cinese ha dimostrato come 3 individui su 4 soffrano di sintomi che perdurano nel tempo: stanchezza, insonnia e ansia sono i più ricorrenti, una fase quindi che può essere piscologica, neurologica o fisica.
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La fase più grave del Sars-CoV-2 che fa parte della fase acuta può indurre in alcuni casi alla polmonite polmonite bilaterale interstiziale e alla reazione infiammatoria. Spesso la fase del Long-Covid è caratterizzata da fame d’aria e astenia, sintomi presenti anche durante la malattia. Molti credono che alla fine dell’infezione e verso la negativizzazione tutti i sintomi sparissero in un batter d’occhio, purtroppo invece alcuni pazienti sono costretti a scontrarsi con la dura realtà del post-guarigione.
“Dopo un anno di pandemia, possiamo dire che la maggior parte delle persone si porta dietro uno strascico di questa malattia per diverso tempo”, ha dichiarato Sandro Iannaccone, primario dell’unità di riabilitazione disturbi neurologici cognitivi motori dell’Irccs ospedale San Raffaele che nel suo ambulatorio cura persone affette da Long-Covid “ci sono ogni giorno persone che si portano dietro disturbi anche da sei mesi. E soltanto in alcuni casi i sintomi risultano attenuati rispetto alle prime settimane […] nella nostra casistica rilevabili nel 60-70 per cento dei pazienti entrati in contatto con il virus”, spiega il primario, come riportato da un articolo a cura della Fondazione Sandro Veronesi.
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I sintomi più frequenti? Dolori articolari e muscolari; in altri casi invece la sintomatologia si spinge oltre, problemi di natura neurologica: difficoltà nel concentrarsi, perdita di memoria e disturbo post-traumatico da stress (Ptsd). Come spiegato dal primario Iannaccone, anche la perdita dell’olfatto e del gusto possono presentarsi, ma solo nel 10% di casi.
La Fondazione Veronesi spiega come i pazienti che superano il Covid-19 si lasciano dietro i sintomi nel giro di due o quattro settimane, ma come ricorda l’Organizzazione Mondiale della Sanità i sintomi possono perdurare per mesi dopo l’infezione. “Oggi tendiamo a parlare di Long-Covid quando, due mesi dopo la negativizzazione, un paziente continua a manifestare uno o più dei sintomi indicati” ha affermato Iannaccone. Si evince però che sovente i casi di Long-Covid sono più frequenti in soggetti che hanno avuto la malattia in modo acuto, la gravità in proporzione ai sintomi del post. Naturalmente il Long-Covid può colpire anche i pazienti che hanno avuto un decorso lieve, solo tosse e spossatezza, in questo caso si parlerebbe di “predisposizione genetica”.
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I polmoni sono i primi organi ad essere colpiti dall’infezione, può succedere anche che la forte infiammazione induca a casi di trombosi che possono lasciare segni nel tempo. l’Istituto Superiore di Sanità afferma che il virus potrebbe “presentare alcune similitudini con componenti dell’organismo e far generare anticorpi che possono reagire anche contro i nostri organi o tessuti, provocando le manifestazioni cliniche descritte”. Ma anche il cuore, il cervello e i reni possono essere colpiti dall’infezione.
All’inizio della pandemia pensava che gli uomini fossero i più colpiti. I dati riportano come nel caso Long-Covid sia gli uomini che le donne ricoprono più o meno la stessa percentuale. L’Istituto Superiore di Sanità ha affermato in uno studio che “Il possibile risvolto su base autoimmune potrebbe giustificare la più elevata incidenza di questa sindrome nel sesso femminile”. Sembra quindi che il problema colpisca in misura maggiore le donne. Il Long-Covid può colpire anche i bambini, una scoperta fatta dal Policlinico Gemelli di Roma: 4 su 10 hanno ammesso di percepire sintomi come problemi respiratori, mal di testa, stanchezza, dolori muscolari e articolari, palpitazioni e insonnia.
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I più esposti alla Long-Covid sono soggetti affetti già da patologie come l’obesità, l’ipertensione e le malattie mentali. Non sappiamo ancora quali siano gli effetti a lungo termine del Covid-19 e Iannaccone precisa: “è ancora presto per dire se la Covid-19 lascerà delle cicatrici a lungo termine. Quello che sappiamo è che molto dipende dalla capacità dell’organismo di rispondere all’infezione virale. E che oggi dovremmo interrogarci su come potenziare la riabilitazione per questi pazienti. Abbiamo la certezza, dopo un anno di pandemia, che quanto più questa è precoce, tanto più rapida e completa è la ripresa”.
Qui entra il discorso della riabilitazione, importante già dalle prime fasi, anche se, vista ancora la giovane età della malattia il potenziamento della fase riabilitativa. Conclude Iannaccone: “Se dopo due mesi si avvertono ancora alcuni dei sintomi della malattia, occorre consultare il proprio medico di base, un cardiologo o un fisiatra. Attraverso alcuni esami specifici, dalla spirometria al test del cammino in 6 minuti, è possibile avere subito alcune importanti indicazioni sulla necessità e sulla tipologia di riabilitazione da effettuare».
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