Stefano Paglia, primario del Pronto Soccorso di Lodi, ha descritto il suo piano di sanità post-Covid. “Bene rinforzare le terapie intensive ma non si dimentichino le degenze ordinarie”
Stefano Paglia ha descritto il suo piano di sanità post-Covid ai microfoni di SanitaInformazione.it. Ecco le sue parole: “La sicurezza complessiva è aumentata, anche sul controllo epidemiologico, ma le performance di emergenza non sono migliorate – afferma il professor Paglia -. Ci serve una quantità maggiore di personale, una organizzazione più complicata perché praticamente abbiamo quasi dovuto raddoppiare i percorsi, ma i tempi di adeguamento strutturale definitivo non sono semplici. Le posso dire che se sul piano della pandemia Covid-19 la situazione è decisamente migliorata, la complessità gestionale è invece peggiorata”.
“Ora siamo sicuramente molto forti per quanto riguarda i letti di terapia intensiva. Ne sono stati fatti tanti e altrettanti ancora ne verranno fatti. Ci siamo attrezzati – continua Stefano Paglia – e ci stiamo muovendo molto da quel punto di vista. Il problema è che per ogni paziente in terapia intensiva ce ne sono altri dieci da ricoverare, ed io tutto questo impegno sulla degenza ordinaria non lo vedo. Sembra che queste cose non interessino a nessuno. Anzi, il distanziamento sta portando ad una riduzione del numero di letti rispetto a quelli che avevamo prima del Covid. Quindi se continua così alla prossima ondata avremo meno letti di quanti ne avevamo appena scoppiata la pandemia”.
Nessuna polemica con le istituzioni ma il nocciolo della questione, per Paglia, è questo: “Non sto dicendo che non servono letti in terapia intensiva e non sto assolutamente dicendo che non doveva essere costruito l’ospedale alla Fiera di Milano. In quel momento quel posto sembrava un’ottima idea, lo è stato e serviva. Piuttosto sto dicendo che questa malattia non si affronta solo con i letti di terapia intensiva, occorre fare anche reparti di degenza”.
“La Cina e il resto del mondo – prosegue il direttore del Pronto Soccorso di Lodi – hanno affrontato questa pandemia creando grandi strutture di ricovero dove tenere i pazienti in fase iniziale come in terapia intensiva. In Italia il concetto di terapia intensiva è passato subito, il concetto di sub-intensiva è passato con più fatica, del concetto posti letto di degenza ordinaria non si è parlato e le assicuro che quelli hanno bloccato il sistema. In Italia siamo passati dalla frase “meno male che la pandemia è scoppiato in Lombardia”, alla frase “ci sono stati tanti morti perché è scoppiata in Lombardia”, classico esempio di una lettura speculativa politica di un fatto”.
“Io non ho interesse a difendere nessuno però faccio un riferimento preciso: se nella fase pre-epidemica avere un forte sistema territoriale con medici di base che lavorano bene può aiutare a prevenire lo sviluppo della malattia, è altrettanto vero che nel momento in cui la patologia è esplosa il medico di famiglia non ha molte frecce al suo arco. Può andare a fare visita al paziente, col rischio di infettarsi, e seguire il decorso della malattia. Allora, è ovvio che occorre rinforzare i medici di base, ma servono soprattutto ospedali e ne servono tanti”.
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Nonostante lo grande sforzo dei medici e di tutto il personale sanitario, spesso la categoria non è protetta. Stefano Paglia continua: “Siamo rassegnati. Anche perché una reale e oggettiva difesa da quello che è un accanimento nei confronti dei medici non c’è. Si parla spesso di malasanità, ma io non credo esista il tema in Italia. Certo, ci sono medici che commettono errori, tanto più in una situazione di forte stress emotivo e di pressione psicologica. I dati oggettivi però ci dicono che le cose non stanno così, soprattutto se facciamo un confronto con altri Paesi. Anzi, sono assolutamente convinto che in Italia esista in Italia un sistema orientato ad un modello speculativo risarcitorio che vede interi filoni quasi commerciali vivere sulle disgrazie. Questo tipo di atteggiamento non ha nulla a che fare con la ricerca di giustizia”.
“Nella mia esperienza personale – racconta il professor Paglia – non trovo una grande correlazione tra un senso di giustizia in sanità e l’istituzione di un processo penale per omicidio colposo. Non per colpa del magistrato, ma a causa del meccanismo che porta avanti le segnalazioni che molto spesso sono correlate a delle logiche di tipo risarcitorio, e l’azione penale è fatta come forma intimidatoria per poi arrivare a quello che interessa realmente, ovvero il risarcimento economico”.
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