Il tanto agognato Ministero della Transizione Ecologica inizia a farsi sempre più spazio tra le priorità dell’ipotetico esecutivo guidato da Mario Draghi. In Europa però modelli di simili ministeri hanno ingranato la marcia: Francia e Spagna in primis, che adesso salgono in cattedra.
L’Unione europea sembra voler far sul serio sul tema dei cambiamenti climatici. La svolta verde non sembra più un discorso lontano e l’obiettivo di ridurre il 40% delle emissioni sta spingendo alcuni Stati membri a convergere su questa linea.
Macron punta a dirigere il cambiamento e, il modello francese, anche se non privo di falle, potrebbe ispirare gli altri paesi ad armarsi di strumenti funzionali per un progressivo cambiamento sulla questione climatica. La Francia è stato il primo paese dell’Unione europea ad istituire un “Ministero dell’ambiente”. La Svizzera ha invece istituito un “dipartimento federale per i trasporti” e la Spagna sulla stessa scia ha dato vita, nel 2018, ad un “ministero per la transizione ecologica”.
Il modello francese
La Francia ha annunciato di rinunciare alla costruzione del quarto terminal dell’aeroporto di Charles De Gaulle di Parigi, una scelta che attira a sé un’attenzione importante, non per la stessa rinuncia ma per il semplice fatto che la scelta non è altro che un modo per accelerare il “processo di transizione in Francia”. Basti pensare che la rinuncia equivale anche a quella dell’investimento di ben 9 miliardi che avrebbe certamente elevato il numero di voli (da e per) e che in sostanza avrebbe portato alla costruzione di un altro aeroporto. Non la prima rinuncia, visto che già nel 2017 il governo aveva interrotto la costruzione della pista di Notre Dame des Landes, nei pressi di Nantes. Una scelta non priva di rischi e critiche da parte dei cittadini.
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La spiegazione è chiara: il governo francese si allinea alle direttive Ue e prova a mettere in atto la transizione ecologica. Già nel 2007 in Francia, sotto l’amministrazione Sarkozy il governo aveva deciso di accorpare in un unico dicastero l’ambiente e i trasporti. Fu così fino al 2017, senza grandi cambi di rotta in ottica ambiente. L’insediamento di Macron aveva però dato l’impressione che il cambiamento climatico fosse uno degli argomenti principali sull’agenda politica del presidente francese; convinse così Hulot a diventare il “primo ministro della transizione economica” per la gestione diretta del cambiamento verso politiche green. Una strada difficile da percorrere che portò alle dimissioni di Hulot poco dopo un anno, dichiarando “Stiamo facendo solo piccoli passi, non bastano”.
Le scelte di Macron
La spinta di Macron sulla questione ambientale portò, dopo le misure per l’aumento dei carburanti fossili, alle manifestazioni dei gilet gialli che contestavano il fatto che la Francia stesse attuando piani di transizione ecologica ma sulle spalle delle classi sociali più deboli. Le immagini delle manifestazioni e la cronaca di quei giorni sono ancora vivide negli occhi di tutti. L’esperienza indirizzò Macron, nel 2019 a invitare 150 cittadini in modo casuale che avrebbero dovuto proporre soluzioni per attuare la riduzione delle emissioni entro il 2030: alcune di queste proposte, solo una parte è stata inserita nel disegno di legge illustrato in questi giorni dal governo francese, contenente sessantacinque articoli. La ministra della Transizione ecologica, Barbara Pompili ha commentato così l’attuale progetto che cambierebbe in modo radicale l’approccio ecologico “nella scuola, nei servizi pubblici, nella giustizia ma anche nella politica degli alloggi e della città”.
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Sono molti però i punti che rimangono ancora sospesi, come l’effettiva attuazione della legge che pone in disaccordo alcuni esperti e analisti sulle possibilità che queste misure possano portare realmente la Francia a rientrare negli obiettivi internazionali entro il 2030.
Il modello spagnolo e svizzero
In Spagna, il “Miteco” (nome per definire il Ministero per la transizione ecologica) è stato istituito nel 2018 sotto la guida del presidente socialista Pedro Sánchez. Il ministero è diretto da Teresa Ribera e principalmente ha funzioni di tutela della biodiversità e della politica energetica in senso lato. La prima grande “rivoluzione green” è stata la chiusura delle miniere di carbone compensate con un investimento di ben 250 milioni nelle industrie e nello sviluppo umano.
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Altro modello quello svizzero, basato su un dipartimento per la transizione ecologica chiamato “Datec” dove convergono le materie ambientali dei trasporti, dello sviluppo e dell’energia. La carica viene ricoperta dalla socialista Simonetta Sommaruga, nonché presidente della Confederazione svizzera che punta alle emissioni zero nel 2050. Un progetto a lungo termine quello della Svizzera che prova a salire sul podio della svolta ecologica.
La sfida Italiana
Una sfida, quella dell’istituzione di un Ministero per la transizione ecologica non facile. In questi giorni Grillo aveva citato come modelli di riferimento proprio quello francese e quello svizzero. Su questo sarà difficile far convergere le forze politiche su un nome trasversale: un ministero del genere necessiterebbe di una figura autorevole e preparata sul tema energetico. Al momento tutto tace.
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Il governo ha già un dipartimento per la “transizione ecologica” che fa parte del ministero per l’Ambiente guidato da Mariano Grillo. L’ipotesi potrebbe essere proprio quella di attuare un piano più ampio che abbracci il recovery fund basato sull’ampliamento del Ministero dell’ambiente con competenze su tutti i punti cardine della svolta green: energia, riconversione e sviluppo ed economia circolare, con una maggiore autonomia sull’assegnazione dei fondi.
I primi nomi si basano su delle ipotesi che certamente prenderanno forma nelle prossime ore. In lizza Enrico Giovannini e Catia Bastioli ( quest’ultima al centro delle polemiche sollevate qualche anno fa da parte del Movimento 5 stelle dopo la sua nomina da parte di Renzi a Presidente di Terna dal Consiglio di Amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti).