Il taglio delle emissioni di CO2 nell’atmosfera è una misura importante ma potrebbe non essere sufficiente per mantenere gli impegni presi con gli Accordi di Parigi. Gli scienziati lanciano la “carbon capture”.
“Carbon capture”, potrebbe essere questa la formula per il futuro. Catturare il carbonio rappresenterebbe certamente un passo in avanti nella lotta al cambiamento climatico. Premesso che ogni paese parte da un livello diverso di inquinamento l’obiettivo di mantenere la temperatura terrestre sotto ai 2 gradi centigradi diventa una grande sfida a cospetto del tempo che stringe.
La cattura del carbonio è una misura su cui, da tempo, gli studiosi del IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) lavorano, indicandola come via per raggiungere gli obiettivi promulgati all’interno dell’Accordo di Parigi. Dell stessa idea è il glaciologo britannico Peter Wadham, sostenendo che “il taglio delle emissioni non sarà sufficiente per fermare il processo di riscaldamento globale” per ridurre la CO2 – continua lo studioso “dovremo anche eliminarne molta di più di quella che abbiamo rilasciato negli ultimi 200 anni”.
Già alcune nazioni, poche, hanno dato via agli investimenti nell’ottica della carbon capture, utilization and storage. Tra queste spicca la Norvegia, per la grande quantità di petrolio posseduta, con al seguito altri paesi nordici e alcune compagnie del Regno Unito. Anche negli Stati Uniti, in California, gli studiosi stanno lavorando per mettere su un sistema efficiente, motivato dalla ricchezza di combustibili fossili e delle centrali di carbone.
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Il problema della totale riconversione della produzione di energia è un problema vivido, visto che la maggioranza dei paesi dipende in gran parte dalla produzione di energia da combustibili fossili. L’opportunità di poter mantenere la produzione con una fase di stoccaggio e riutilizzo potrebbe essere quindi una ghiotta occasione per quei paesi che riusciranno ad investire sulla cattura del carbonio, prolungando l’esistenza di quegli impianti ancora attivi, come in Cina. Questo porterebbe ad avere un cambiamento dilazionato nel tempo nella speranza che lo sviluppo di nuove tecnologie raggiunga livelli eccellenti.
In direzione “carbon capture” occorre quindi che gli Stati inizio ad investire in modo significativo verso le nuove tecnologie di cattura, stoccaggio e riutilizzo. Afferma Massimo Tavoni, direttore dello European Institute on the Economics and the Environment che “L’unica vera soluzione è lo stoccaggio sotto terra e parte avvantaggiato chi ha giacimenti vuoti dove poter immagazzinare questo gas”.
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Se catturare CO2 è facile e non richiede costi esorbitanti, il problema principale sorge se durante lo stoccaggio il gas va isolato da altri gas. In questo caso i costi salgono e, come spiega Tavoni “I filtri vanno rigenerati e per farlo occorre energia, che a sua volta emette CO2. Per questo c’è chi fa resistenza ad adottarli”. In questi casi l’investimento da parte di uno Stato non basterebbe, serve infatti una totale collaborazione e convergenza su questo tema. In primis sale in cattedra l’importanza delle agevolazioni a favore dell’acquisto di queste tecnologie che come abbiamo visto richiedono uno sforzo economico importante.
Le associazioni ambientaliste punta invece sugli investimenti totalmente proiettati verso le energie rinnovabili, per la paura che le grandi risorse pubbliche vengano investite alla cattura della CO2 e che il processo di produzione di energia dalle fonti fossili non si interrompa. Rassicura Tavoni, su questo punto “La strada è ormai segnata e il futuro sarà delle rinnovabili. La cattura del carbonio può però aiutarci a limitare i danni in un periodo di transizione che non sarà brevissimo”.
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