Tuona prepotentemente la voce di Yuri Shvets, ex membro del Kgb. “Questo è un esempio di come le persone venivano reclutate quando erano studenti e poi arrivavano a posizioni importanti, qualcosa del genere è successa con Trump”, ha dichiarato l’ex agente intervistato dal Guardian.
Dopo la non rielezione di Trump e l’insediamento di Biden gli Stati Uniti hanno formalmente cambiato rotta rispetto agli ultimi 4 anni. Allora sarà calato il sipario su Trump? No, perché le dichiarazioni dell’ex agente del Kgb desteranno certamente un certo fermento all’interno dei media.
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Tutto ha inizio dalla penna del giornalista e scrittore americano Craig Unger autore del libro “American Kompromat” di cui Yuri Shvets è la fonte primaria. Unger non è nuovo a questo tipo di giornalismo d’inchiesta in quanto due anni fa aveva scritto un libro che fece discutere l’opinione pubblica, dal titolo “House of Trump, House of Putin: The Untold Story of Donald Trump and the Russian Mafia“, dove l’autore ricostruisce i legami tra la mafia russa, Putin e la Trump Organization”.
Shevts racconta come Trump riuscì ad accaparrarsi le considerazioni da parte dei russi che, subito dopo il matrimonio con la prima moglie di origine slovacca Ivana Zelnickova diedero vita ad una operazione della Státní bezpečnost (l’intelligence cecoslovacca), naturalmente con l’affiancamento del Kgb. Ma dalle dichiarazioni di Shevts, il primo vero contatto si realizzo quando Trump acquistò una serie di televisioni per il suo Hotel di New York, un incontro spiegato dal fatto che l’allora imprenditore aveva effettuato l’acquisto in un negozio sulla Fifth Avenue da un certo Semyon Kislin che Shvest segnala come collaboratore del Kgb, dichiarazione alla quale Kislin si è dichiarato contrariato, negando difatti l’appartenenza ai servizi segreti russi.
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Nel 1987 secondo la testimonianza di Shevts Trump si recò in Russia insieme alla moglie, dove incontrerà i servizi segreti che avevano abbastanza informazioni, anche sulla sua personalità – come dichiara l’ex agente “incline all’adulazione”, caratteristica che indurrà il Kgb a credere che un giorno l’imprenditore sarebbe potuto diventare Presidente degli Stati Uniti. Secondo l’ex spia russa fu proprio questo a coltivare l’idea di una candidatura alle elezioni americane. Iniziò così a farsi propaganda già sulle prime pagine, scrive l’autore del libro – dove criticava le scelte di Reagan sulla Guerra Fredda e affermava già il suo scetticismo nei confronti della Nato. In sintesi le riportò nel suo programma ma da Presidente della super potenza egemone.
Unger afferma che “Trump era un asset” dei sovietici ma che “il Kgb non aveva un vero e proprio piano su di lui”, poiché all’epoca cercavano di assodare una grande quantità di gente influente. Asserisce Unger “Trump era un obiettivo perfetto, per la sua vanità e il suo narcisismo e i russi lo hanno coltivato per 40 anni, fino alla presidenza”
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