Il Partito comunista italiano nacque esattamente cento anni fa dalla “scissione di Livorno” nel corso del XVII Congresso del Partito socialista italiano.
Il 21 giugno 1921 veniva fondato il Partito Comunista d’Italia come sezione della III Internazionale Comunista. A sei giorni dall’inizio del XVII Congresso del Partito Socialista Italiano nel teatro Goldoni di Livorno, la minoranza di sinistra si staccò infatti dal movimento dando origine a quello che sarebbe poi diventato il più grande partito comunista dell’Europa occidentale.
La scissione fu guidata tra gli altri da Nicola Bombacci, Amadeo Bordiga, Onorato Damen, Bruno Fortichiari, Antonio Gramsci e Umberto Terracini. La prima sede nazionale del Partito comunista fu aperta a Milano nella palazzina di Porta Venezia. L’organo di stampa centrale fu “Il Comunista” fino al 1922 e poi “l’Unità”, fondata da Gramsci nel 1924.
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Il Pci nel corso della sua storia, durata 70 anni, ha vissuto diversi momenti ed evoluzioni. Nel giugno del 1943 il nome del partito fu modificato in Partito Comunista Italiano, restando tale fino allo scioglimento ufficiale del 3 febbraio 1991 e la conseguente nascita del Partito democratico della sinistra. Dopo cento anni da quel 21 giugno, l’opinione pubblica è ancora divisa tra chi considera la scissione comunista come fondamentale per lo sviluppo della democrazia e chi invece la ritiene un episodio da dimenticare.
Il Partito comunista italiano proseguì le sue attività fino a quando nel 1926 fu costretto all’esilio e alla clandestinità dal regime fascista, il cui movimento crebbe inizialmente al fianco degli industriali e degli agrari. Mentre all’interno del Pci si discuteva di rivoluzione, lotta all’imperialismo e internazionalismo, in Italia si stava imponendo infatti sempre più il fenomeno dello squadrismo, favorendo l’ascesa di Benito Mussolini. La ripresa legale del partito sulla scena politica nazionale avvenne solo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Nell’aprile del 1944 con Palmiro Togliatti il Pci visse la cosiddetta “svolta di Salerno”: il segretario comunista accantonò temporaneamente la questione istituzionale, indicando l’unità antifascista come premessa di un radicamento nella società post-liberazione. L’iniziativa si concluse con l’accettazione di una mediazione concernente il trasferimento di tutte le funzioni ad Umberto di Savoia, quale Luogotenente del Regno, l’indizione di una consultazione elettorale per un’Assemblea Costituente e la scelta della forma dello Stato solo al termine della guerra.
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Il Partito comunista italiano entrò a far parte dei governi dell’Italia democratica, partecipando alla ricostruzione politica e sociale dopo la Seconda Guerra Mondiale ed estendendo la sua influenza attraverso una capillare rete di sezioni territoriali e l’organizzazione sindacale. Dal 1947 il partito fu però escluso dal governo, divenendo la maggiore forza politica di opposizione del Paese.
Nel 1956 l’invasione sovietica dell’Ungheria costrinse il Pci a riflettere sul socialismo e sulla propria strategia, iniziando a prendere le distanze dall’unitarismo di stampo sovietico, focalizzandosi sugli aspetti più democratici e gradualisti. Le elezioni del 1968 furono un successo: il partito, guidato da Luigi Longo, ottenne il 26,9% dei voti generando grandi aspettative per il futuro.
Per spingere a un rinnovamento del Paese, nel 1973 il segretario Enrico Berlinguer portò il partito verso il noto compromesso storico, inteso come una proposta di collaborazione con le forze cattoliche e socialiste. La segreteria di Berlinguer fu caratterizzata da anni difficili: ormai la “spinta propulsiva” della rivoluzione sovietica era in esaurimento e diventava sempre più necessario creare un nesso tra democrazia e socialismo.
In seguito alla caduta del muro di Berlino e al crollo del comunismo nei paesi dell’Est tra il 1989 e il 1991, il Partito comunista italiano sotto la guida di Achille Occhetto avviò una profonda fase di trasformazione di stampo socialdemocratico. Il 3 febbraio 1991 il Pci venne sciolto, dando origine al Partito Democratico della Sinistra. Una parte minoritaria guidata da Armando Cossutta contraria alla svolta fondò invece il Partito della Rifondazione Comunista, restando fedele ai vecchi ideali.
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