L’emblematica figura di Vincenzo Muccioli, il fondatore della comunità di recupero per tossicodipententi di San Patrignano, è tornata alla ribalta con la serie “SanPa”.
Con l’uscita dell’ultima docu-serie prodotta da Netflix intitolata “SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano” i riflettori sono tornati ad accendersi sulla famosa comunità di recupero per tossicodipendenti di Coriano, in provincia di Rimini, che negli anni ha salvato migliaia di giovani vite. In particolare ha generato un forte dibattito nel Paese la figura di Vincenzo Muccioli, colui che nel 1978 fondò la struttura.
Il grande scalpore suscitato attraverso il materiale d’archivio e le testimonianze dei protagonisti dell’epoca, ha spinto la comunità di San Patrignano a prendere le distanze dalla serie documentario, dividendo l’opinione pubblica tra quelli che sostengono il buon lavoro di Muccioli sui tossicodipendenti e coloro che invece ne condannano le modalità.
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La docu-serie “SanPa” termina con la vicenda legata alla morte di Roberto Maranzano, ucciso a botte nella porcilaia di San Patrignano nel 1989 e il cui corpo senza vita fu ritrovato in una discarica della Campania. Quell’episodio fu un duro colpo per Vincenzo Muccioli e la sua comunità, già accusata di ricorrere a metodi “criminali” sugli ospiti tossicodipendenti più problematici.
Il fondatore di San Patrignano affrontò due processi in tribunale: uno iniziato nel 1983, e l’altro nel 1994. Entrambi si conclusero con la sua assoluzione. Durante il primo processo, ricordato come quello “delle catene”, Muccioli fu accusato di sequestro di persona e maltrattamenti per avere incatenato alcuni giovani all’interno della struttura di recupero. Nel 1990 fu tuttavia assolto in Appello dalla Cassazione con formula piena.
In occasione del processo sulla morte di Roberto Maranzano, fu invece condannato a otto mesi per favoreggiamento (con sospensione condizionale), ma assolto dall’accusa di omicidio colposo. Secondo il giudice, Muccioli aveva infatti saputo del pestaggio e dell’assassinio ma per proteggere i ragazzi della comunità insabbiò tutto. I responsabili dell’omicidio furono poi condannati dai 6 ai 10 anni di carcere.
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Il secondo processo di Muccioli si fermò lì, perché il 19 settembre 1995 morì all’età di 61 anni per cause che non sono mai state rivelate (nella docu-serie si parla di un eventuale contagio da Aids). Qualche giorno prima della sua scomparsa, la Corte di Cassazione stabilì che fu uno sbaglio processarlo per omicidio colposo e che sarebbe dovuto essere invece giudicato nuovamente con l’accusa più grave di “maltrattamenti seguiti da morte”. La figura di Vincenzo Muccioli continua dopo anni a essere oggetto di pareri discordanti.
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