La richiesta dei legali della famiglia di Imane Fadil, deceduta nel 2019, è stata accolta: gli accertamenti sulla morte della modella marocchina non si fermano.
Per stabilire la verità definitiva sulla morte di Imane Fadil, una delle testimoni chiave del “caso Ruby”, sono necessarie nuove indagini e valutazioni, anche con ulteriori perizie. Lo ha stabilito il gip di Milano Alessandra Cecchelli, accogliendo la richiesta degli avvocati della famiglia e respingendo così la richiesta di archiviazione dei pm.
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La modella marocchina morì il 1 marzo 2019 all’Humanitas di Rozzano, in provincia di Milano, dopo essere stata ricoverata. Circa sei mesi dopo il decesso, in seguito a una complessa perizia, gli inquirenti stabilirono che Imane Fadil fu stroncata da una malattia rara, l’aplasia midollare che le era stata diagnosticata solo pochi giorni prima di morire.
Gli esiti di alcune analisi effettuate avevano aperto la strada anche all’ipotesi, poi smentita, di un decesso per avvelenamento con sostanze radioattive o metalli pesanti. La tesi era stata avvalorata anche dal fatto che la modella all’epoca avesse rivelato di essere in pericolo: “Vogliono farmi fuori”, aveva raccontato al suo legale.
La perizia, oltre all’avvelenamento, escluse qualsiasi responsabilità dei medici e dei sanitari della clinica, stabilendo che anche se la malattia di Imane Fadil fosse stata diagnosticata prima di quanto successo, non ci sarebbero stati comunque i tempi necessari per la cura e per evitare il decesso. Come conseguenza i pm Tiziana Siciliano, Antonia Pavan e Luca Gagliola avevano richiesto l’archiviazione dell’inchiesta.
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I legali della famiglia Fadil si erano tuttavia opposti alla decisione, chiedendo nuove “valutazioni peritali” per verificare nuovamente sia l’ipotesi di avvelenamento, sia gli eventuali errori da parte del personale medico dell’Humanitas di Rozzano. Adesso che il gip ha respinto la richiesta di archiviazione del caso, il termine fissato per le nuove indagini della Procura è di sei mesi.
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