Agitu Idea Gudeta, rifugiata ed esempio d’integrazione in Italia, è stata trovata senza vita nella sua casa di Frassilongo, dove aveva avviato la sua azienda.
È stata uccisa a colpi di martello nella sua abitazione di Frassilongo, in provincia di Trento, la rifugiata etiope simbolo di integrazione Agitu Idea Gudeta. La vittima era nota per il grande successo della sua azienda agricola “bio”, La Capra Felice, con undici ettari e ottanta capre autoctone nella Valle dei Mocheni.
A trovare il corpo senza vita in camera da letto sono stati i vicini di casa nel pomeriggio di ieri, lunedì 30 dicembre, dopo essere stati allertati da un conoscente della donna, preoccupato perché non si era presentata a un appuntamento. Sul posto erano intervenuti i carabinieri insieme al magistrato per avviare le indagini e ricostruire l’accaduto.
Agitu Gudeta è stata uccisa da un suo collaboratore, un ghanese di 32 anni, con cui avrebbe avuto problemi per questioni economiche. L’uomo durante la notte è stato interrogato in caserma e arrestato. Secondo le indiscrezioni avrebbe confessato l’omicidio della donna per uno stipendio che a sua detta non era stato pagato.
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Agitu Idea Gudeta avrebbe compiuto 43 anni tra pochi giorni. Nata ad Addis Abeba, in Etiopia, aveva studiato sociologia all’Università di Trento per poi tornare nel suo Paese d’origine. A causa della complicata situazione conflittuale in Etiopia, nel 2010 era tornata in Italia ottenendo lo status di rifugiata.
Dopo qualche anno era riuscita ad avviare la sua azienda agricola a Frassilongo puntando sulle capre mochene, una particolare specie che vive in una valle della provincia di Trento. Tre anni fa aveva raccontato la sua storia nel corso dell’incontro “Donne anche noi: storia di fuga e riscatto” a Roma.
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Un paio di anni fa era stata oggetto di insulti, minacce e lesioni da parte dei suoi vicini: “Mi insultano, mi chiamano brutta negra, dicono che me ne devo andare e che questo non è il mio posto”, aveva denunciato Agitu Gudeta ai carabinieri. La vicenda finì in tribunale con la condanna di un uomo a 9 mesi.
Numerosi i messaggi di cordoglio sui social: in tanti l’avevano ammirata e presa d’esempio per la sua storia. “Chi l’ha uccisa non ha ucciso lei, ma la sua insopportabile superiorità: donna, nera, immigrata, capace imprenditrice, istruita, indipendente, creativa, libera, realizzata”, si legge in uno dei tanti post.
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