Rappresentano il nuovo must della gastronomia, destino a crescere sempre più. Che cosa sono le ‘dark kitchen’.
Chiamate anche ghost o hidden kitchen, le dark kitchen rappresentano una vera rivoluzione nel mondo della ristorazione. Si tratta sostanzialmente di locali che hanno al loro interno soltanto una cucina, niente coperti dunque, e che vivono solo grazie alle consegne a domicilio.
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Le cucine “chiuse” rappresentano un vero must nel mondo della gastronomia e della ristorazione. Si tratta di ristoranti che potremmo definire virtuali, semplici cucine dove gli addetti ai fornelli preparano i piatti dei loro menù, che verranno poi consegnati a domicilio da Glovo, UberEats e dalle altre piattaforme del settore. Quello delle ‘dark kitchen’ non è certo un fenomeno italiano ma europeo e ancor più globale. Secondo Ubs, il mercato globale fattura un giro di affari di oltre 35 miliardi di dollari, con una crescita annua del 20%.
Se è vero che le cucine “chiuse” non sono nate in seguito all’ultima forte crisi che ha colpito il settore, è altrettanto vero che mai come in questo periodo sono molti i ristoratori che hanno intuito il potenziale del fenomeno e che pensano di non rialzare più la saracinesca, dedicandosi dunque esclusivamente alla consegna a domicilio.
Durante i periodi di isolamento e quarantena, ad esempio, nel nostro paese sono stati milioni gli italiani che hanno deciso di affidarsi alle consegne a domicilio. I clienti che ne hanno usufruito maggiormente sono i cosiddetti ‘millenials’ che, secondo le stime, ordinerebbero a domicilio dalle 2 alle 3 volte a settimana, anche in periodi precedenti la pandemia. Questo perché la consegna a domicilio consente di abbattere i tempi dell’attesa al ristorante, oltre al rapporto qualità-prezzo che ingolosisce non poco.
Secondo Peter Backman, consulente inglese del settore “i clienti sono stati educati da Amazon e ora vogliono sempre di più le consegne a casa. Per i ristoratori la sfida è farlo in modo redditizio”. Vantaggi dunque non solo per i clienti ma per gli stessi proprietari delle cucine.
Se per i ristoratori aprire un ristorante significava individuare la location, definire il menù e i prezzi, districarsi con le uscite e le entrate, nel mondo del ‘dark kitchen’ tutto si riduce ad una semplice app: i ristoranti si ritrovano a gestire esclusivamente la preparazione dei piatti e pensare all’offerta da proporre ai clienti, senza doversi preoccupare delle complessità che derivano dalla gestione di un normale ristorante.
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Che sia questo l’unico modo per risollevare il settore? Forse. Certo è che con una crescita esponenziale del genere, si dovrà pensare non solo ai profitti ma inevitabilmente anche ai problemi già conosciuti, come quello della regolarizzazione dei contratti per i riders. Inoltre, se per molti il fenomeno delle ‘dark kitchen’ può rappresentare il futuro per tanti altri, soprattutto quelli condotti da personale poco avvezzi alla tecnologia, potrebbe significare la mazzata finale.
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