Giulio Regeni, la Procura di Roma nell’atto conclusivo delle indagini ha messo nero su bianco che è stato torturato fino alla morte
Sequestro di persona pluriaggravato e concorso in lesioni personali aggravate e in omicidio aggravato, sono i reati contestati al maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif dal Procuratore capo di Roma Michele Prestipino e il pm Sergio Colaiocco dopo due anni dall’avvio delle indagini sulla morte di Giulio Regeni.
Sul corpo del giovane ricercatore friulano ucciso nel 2016 in Egitto sarebbero stati usati strumenti taglienti e roventi provocando pesanti sofferenze fisiche a distanza di giorni, in più occasioni. Regeni per nove giorni è stato nelle mani dei suoi aguzzini che l’hanno ucciso con le torture.
Si stava occupando di una ricerca sulle attività sindacali in Egitto e la condizione dei lavoratori. Regeni fu prima pedinato e sequestrato nella metropolitana della città da dove fu portato via contro la sua volontà. “L’insufficienza respiratoria acuta” provocata dai traumi agli organi vitali l’ha portato alla morte.
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Giulio Regeni, il testimone: “L”ho visto incatenato”
Sono cinque i testimoni che i magistrati di Roma hanno sentito nel corso dell’indagine. Come riporta l’agenzia AdnKronos, uno di loro ha lavorato per quindici anni nella National Security e conosce il luogo dove Regeni è stato ucciso: una villa dei tempi di Nasser che l’agenzia di sicurezza egiziana utilizza per la prioprie attività.
Al primo piano c’è la stanza 13 dove vengono interrogati i cittadini stranieri sospettati di complotto contro la sicurezza nazionale. Il testimone ha visto il 28 e 29 gennaio 2016 Regeni in quella stanza.
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Il ricercatore italiano era a terra, ammanettato, faccia riversa sul pavimento, segni di tortura sul corpo e molto magro. “Parlava italiano e delirava“. Il testimone è certo che si trattava di lui perché l’ha riconosciuto nelle foto viste successivamente.