All’alba di oggi, 2 novembre, nel giorno del suo ottantesimo compleanno, Gigi Proietti è morto a Roma presso la Clinica Villa Margherita e quasi in un’ideale passaggio di consegne il grande attore italiano, Pierfrancesco Favino, gli ha dedicato un sonetto, un saluto in versi, proprio come fece lo stesso “Mandrake” con Alberto Sordi. Ecco come
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Era la mattina del 27 febbraio 2003, Roma era fredda e malinconica come oggi. Da poco più di 48 ore Alberto Sordi aveva lasciato la Vita terrena. Aveva da poco compiuto 83 anni. In quella triste occasione Gigi Proietti fu chiamato sul palco allestito in Piazza San Giovanni in Laterano per salutare Albertone. E non lo fece con un banale e stantio discorso di commiato ma con un sonetto alla Belli, alla Petrolini. “Io so’ sicuro che nun sei arrivato ancora da San Pietro in ginocchione – recitò commosso Proietti davanti a più di 50.000 cittadini romani accorsi in piazza per l’estremo saluto ad Alberto Sordi – a mezza strada te sarai fermato a guarda’ sta fiumana de persone”. E dopo un bonario “rimprovero” per essersene andato, Proietti colse in pieno l’anima profonda di Roma e di quella Piazza con un verso passato alla storia. “Starai dicenno: ma che state a fa’ – urlò Proietti – ve vedo tutti tristi nel dolore” e la tenera chiosa dell’Allievo che saluta il Maestro per l’ultima volta: “e c’hai ragione, tutta la città sbrilluccica de lacrime e ricordi ‘che tu non sei sortanto un granne attore, tu sei tanto di più, sei Alberto Sordi”
A distanza di 18 anni, in un clima decisamente più plumbeo e se possibile ancora più triste, Pierfrancesco Favino ha ripreso il filo di quel sonetto e lo ha declinato per la dipartita del suo autore. E non potendo farlo in una cerimonia pubblica, le regole del contenimento della pandemia da Coronavirus Covid-19, prevedono che i funerali siano in forma strettamente privata, lo fa attraverso un post su Facebook. “Però ‘n se fa così, tutto de botto”, scrive Favino. Che poi ringrazia Proietti praticamente per tutto e sulla chiosa, come detto, si riaggancia al sonetto di 18 anni prima: “Salutece San Pietro, stavolta quello vero, tanto gia’ ce lo sanno chi è er Cavaliere Nero”. Ma soprattutto: “All’angeli là sopra faje fa du risate, ai cherubini imparaje che so’ le stornellate”. Tenerissimo, quasi filiale il commiato: “Te se guardava Gi’, te se guardava e basta come se guarda er cielo, senza vole’ risposta”. Ma senza il “rimprovero” che Proietti aveva dedicato a Sordi anche se stavolta, dobbiamo dirlo, la mandrakata nun c’è piaciuta.
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