Chi era Emanuela Setti Carraro, la moglie del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, morta tra le sue braccia nell’attentato di Via Carini del 3 settembre 1982.
Caparbia e testarda, Emanuela Setti Carraro, aveva scelto di dedicare la sua vita ai più deboli come crocerossina. Si trasferì a Palermo subito dopo il matrimonio con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e pur rimanendo nelle retrovie della lotta alla mafia, vi prese parte stando accanto al proprio compagno, consapevole dei rischi e delle difficoltà.
Nacque a Borgosesia, in provincia di Vercelli, nel 1950, da una famiglia della “borghesia buona”, figlia di Antonia Setti Carraro, capogruppo di Crocerossine durante la Seconda guerra mondiale e di Ferdinando Giulio Setti, ufficiale volontario sul fronte greco albanese. Seguì le orme della madre e si diplomò come infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana, specializzandosi poi come ferrista di sala operatoria. Volontaria presso ospedali civili e militari, Emanuela fu una delle primi promotrici in Italia dell’ippoterapia come metodo riabilitativo per i disabili.
Conobbe il generale Dalla Chiesa a Genova, durante una sfilata degli alpini. Dopo molti dubbi da parte del Generale per via della differenza di età (30 anni), e superati le opposizioni familiari, i due si sposarono in forma privata in Trentino nel 1982. La coppia si trasferì a Palermo pochi giorni dopo le nozze, in seguito alla nomina di prefetto del generale Dalla Chiesa. Emanuela sarà l’unica persona di cui Carlo Alberto si fiderà in quei giorni trascorsi in Sicilia; lei gli starà accanto fino all’ultimo giorno.
La sera del 3 settembre 1982, alle 21.15, ora dell’agguato mortale a Palermo, Emanuela era alla guida della sua A112 con a fianco suo marito. I corpi furono rinvenuti crivellati di colpi di kalashnikov, con il generale che l’abbracciava come per farle da scudo col suo corpo. La ricostruzione dei fatti indicherà che la donna fu la prima ad essere colpita dal sicario e che quest’ultimo infierì ulteriormente sulla donna, sparandole un colpo di pistola in testa.
L’accanimento su Emanuela e l’abbandono della “regola” mafiosa di non uccidere le donne, lasciava presupporre che la moglie del generale sapeva troppe cose per poter rimanere in vita. Sia la madre, sia la collaboratrice domestica della famiglia Dalla Chiesa, hanno infatti sostenuto che Emanuela sapesse dove il marito custodiva alcune carte da utilizzare in caso di uccisione del prefetto. Persino la “Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Terrorismo in Italia e sulle Cause della Mancata Individuazione dei Responsabili delle Stragi”, nella seduta del 21 gennaio 1998, riconobbe che Dalla Chiesa aveva confidato alla moglie “se mi fanno qualcosa, tu sai che c’è il nero su bianco e sai dove prenderlo”.
Tuttavia, dopo la loro morte, le chiavi della cassaforte della residenza palermitana del prefetto, in cui teoricamente si trovava tale documentazione, non furono trovate per 11 giorni. Quando furono ritrovate le chiavi, all’apertura, la cassaforte risultò vuota.
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