La notizia è di quelle che scuotono il senso di Giustizia e, al tempo stesso, la credibilità dello Stato, l’ex responsabile del carcere di Reggio Calabria, Maria Carmela Longo, è in condizione di arresto, ai domiciliari per la precisione, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, reato commesso prima del suo attuale ruolo di direttrice del carcere femminile di Rebibbia a Roma. Vediamo i dettagli.
L’accusa, mossa dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria nei confronti della Longo, è di quelle pesanti, di quelle che segnano una Vita intera. Secondo la DDA, infatti, l’attuale direttrice del carcere femminile di Rebibbia avrebbe consentito, mentre dirigeva la casa circondariale Panzera, importanti violazioni a diversi detenuti legati alle più importanti ndrine della Ndrangheta. Le violazioni, che la Longo avrebbe commesso su indicazione dei capi dei clan, sono relative a permessi non conformi, concessioni non ammissibili, certificati medici falsi e soprattutto colloqui con i familiari dei boss fuori dal carcere e in orari non consentiti. La maggior parte dei ristretti, peraltro, erano in regime di 41 bis, il carcere duro per i Boss della criminalità organizzata. Con la Longo risultano indagate altre quattro persone tra cui tre agenti della Polizia Penitenziaria e un medico.
Interessante da rilevare, infine, il pensiero della Longo rispetto al funzionamento del sistema carcerario italiano. La dirigente, ora agli arresti domiciliari, secondo quanto riporta il portale Fanpage, nella scorsa primavera aveva rilasciata un’intervista al programma de La7 “Propaganda Live” nella quale sosteneva con forza che: “noi siamo deputati a contenere e rieducare per restituire la persona in condizioni migliori rispetto a quanto è entrata in carcere”. A tal proposito, va detto, che la dirigente della casa circondariale di Roma, prima dell’arresto, era considerata uno dei fulcri del sistema penitenziario italiano e l’attuale sezione femminile del carcere di Rebibbia un’avanguardia assoluta. A smentire tutto questo l’inchiesta che ha permesso di ricostruire la sistematica violazione delle norme dell’ordinamento penitenziario.
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